Considerazioni e proposte sulla zonazione sismogenetica della Calabria
PE98 - Progetto 5.1.1
UR UNI-CS - Università della Calabria, responsabile: I. Guerra
a cura di A. Gervasi ed A. Moretti
16 ottobre 1999

 

La capacità di acquisire dati strumentali di gran lunga superiori dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo rispetto al passato e lo sviluppo di metodi di analisi numerica nella modellizzazione dei fenomeni alle sorgenti sismiche hanno reso possibile una caratterizzazione sempre più definita e dettagliata della sismicità della penisola italiana.
Nel quadro del continuo affinamento delle conoscenze esistenti vengono quindi esposti sinteticamente, per la parte riguardante la Calabria, i dati geologici e sismografici di recente acquisizione.
Di seguito vengono analizzati, per ognuna delle zone sismogenetiche che insistono sul territorio calabrese, i caratteri e la distribuzione della sismicità strumentale registrata dalla Rete Sismica Regionale dell'Università della Calabria, la cui installazione è cominciata nel 1979. L'attuale configurazione è stata raggiunta nel 1986.
Il catalogo dal quale vengono estratti i dati utilizzati è stato costruito elaborando oltre ai dati registrati da tale struttura, anche quelli pubblicati da altre istituzioni scientifiche, a cominciare ovviamente dall'Istituto Nazionale di Geofisica. Sono stati inglobati nell'archivio delle letture sismiche anche quelle fornite da stazioni installate temporaneamente per obiettivi particolari. Per la localizzazione viene utilizzato un programma in grado di rappresentare le strutture crostali con stratificazioni piane le cui interfacce possono avere pendenze variabili e con sezioni verticali variabili per ciascun percorso ipocentro stazione.
I dati esposti sono limitati a profondità inferiori a 100 km.

La Zona Sismogenetica 64, al confine calabro-lucano, è stata interessata tempi storici da una sismicità di livello relativamente modesto. I dati strumentali dal 1986 confermano il persistere di un'attività di moderata energia nella porzione nord-occidentale della Zona, mentre scarsissima risulta essere stata la sismicità nella porzione sud-orientale, tra la Piana di Sibari e le pendici del Pollino.

La distribuzione della sismicità nel tempo è in gran parte condizionata dalla recente sequenza sismica che iniziò il 9 settembre 1998 con una scossa di magnitudo 4.8. Delle 45 scosse con mÆ 3.0 che hanno colpito la zona dal 1986 ben 31 infatti sono state registrate a partire dopo tale data. In precedenza, si può comunque notare un'attività microsismica piuttosto costante, con eventi di modesta energia ma relativamente frequenti. L'unico evento di un certo rilievo nell'intervallo considerato è stato il terremoto dell'8 gennaio 1988 (m=3.7) che interessò praticamente la stessa area epicentrale di quello dell'8 settembre 1998.

La distribuzione della sismicità nelle varie fasce di profondità mostra un massimo di eventi a profondità inferiori a 5 km, che diminuiscono progressivamente di numero fino alla base della moho (» 40 km). I massimi rilasci di energia sono invece localizzati a profondità maggiore: anche in questo caso la distribuzione è dominata dal terremoto del 9 settembre 1998, la cui profondità è stata calcolata tra i 20 ed i 25 km. Sono da segnalare sporadici ipocentri fino ad una profondità di 80 km.

Il recente terremoto del 9 settembre 1998 rappresenta probabilmente il massimo rilascio di energia finora verificatosi sulla struttura interessata, ed è confrontabile con altri eventi di magnitudo molto simile verificatisi nella stessa area in tempi storici (1708, 1894) e recenti (1980, 1988) (Baratta, 1895; Gasparini e Tertulliani, 1988; Currà et al., 1994; Monachesi e Stucchi, 1997).

Le sue repliche sono state registrate per più di un mese da una rete sismica temporanea di dodici stazioni digitali 3D installate dall'ING e dall'Università della Calabria: si tratta probabilmente del miglior dispositivo di osservazione impiegato in Italia per un terremoto di quel livello. Per seguire l'evoluzione nel tempo della sequenza, che non può dirsi ancora completamente esaurita, sono tenute tutt'ora attive dall'Università della Calabria due stazioni digitali 3D.

La soluzione del piano di faglia della scossa principale, la distribuzione spaziale delle repliche ed il modello di velocità delle porzioni superiori della crosta nell'area in esame, ricavabile dall'inversione dei tempi di arrivo delle onde sismiche, sembrano confermare líappartenenza delle strutture attivatesi alle propaggini meridionali del dominio appenninico.

Per quello che riguarda la porzione sud-orientale della Catena del Pollino, recenti misure sugli speleotemi di numerose cavità carsiche sembrano escludere terremoti di elevata energia almeno nelle ultime migliaia di anni (Moretti e Vulcano, 1999).

 

Zona Sismogenetica 65

Per quello che riguarda la sismicità storica, alla Zona 65 possono essere attribuiti almeno tre eventi con intensità uguale o superiore all'ottavo grado MCS (24 aprile 1836, Imax=10; 3 dicembre 1887, Imax=8.5; 28 giugno 1913, Imax =9) oltre ad una probabile riattivazione della struttura in occasione del grande terremoto del Crotonese del 9 giugno 1638 (Imax=10). Per l'evento del 1836 sono anche state segnalate dalle cronache dell'epoca fenomeni di liquefazione e l'apertura di lunghe fratture parallelamente alla linea di costa (E-W) che possono essere attribuite a riattivazioni lungo linee di faglia.

La sismicità più recente si è invece mantenuta su livelli modesti: dal 1986 soli quattordici eventi hanno superato la soglia della magnitudo 3, e quattro quella di 3.5. Tra questi sono da ricordare gli eventi del 8 agosto 1995 sulla foce del Crati e quello del 28 dicembre 1995 che anticipa la sequenza dell'aprile-maggio 1996 in Sila Greca (Colozza et al., 1996; Bruno et al., 1997), appena a sud del confini della Zona. Sono comunque anche da ricordare il terremoto del 22 dicembre 1985 (m=3.9) e, immediatamente a N dei confini della Zona 65, quelli del 5 febbraio 1985 e 12 aprile 1988 (m=4.4). L'attività maggiore sembra essere confinata nella porzione orientale della Zona, in particolare lungo le coste rossanesi e nel prospicente Golfo di Sibari; questa distribuzione coincide bene con l'area mesosismica dei due maggiori terremoti storici (9 giugno 1638 e 24 aprile 1836).

La distribuzione della sismicità nel tempo mostra un andamento costante ma di livello basso, con un numero mensile di scosse localizzate mediamente inferiore a 5, tranne che in occasione dell'attività del dicembre 1995-maggio 96 in Sila Greca.

La profondità degli ipocentri è generalmente maggiore di 10 km, e la loro frequenza diminuisce progressivamente fino ai 40 km; gli eventi più energetici si hanno 10 e 30 km. I meccanismi focali disponibili rivelano movimenti prevalentemente trascorrenti, confermata anche dagli eventi localizzati lungo i confini della Zona.

La cinematica è guidata dalla presenza di un elemento tettonico a scorrimento trascorrente sinistro, ben noto a scala regionale (linea di Palinuro, Finetti & Del Ben, 1986), che mostra nella sua porzione emersa evidenze morfologiche di movimento durante il Pleistocene superiore - Olocene (CS15).

La distribuzione dei meccanismi focali, trascorrenti a N e prevalentemente estensionali a S della Zona (Moretti e Guerra, 1997), e la brusca diminuzione della sismicità verso N ne conferma il ruolo di linea di svincolo tra il blocco appenninico, relativamente stabile, e la porzione di arco ancora in migrazione attiva verso E.

Dalle informazioni acquisite e sinteticamente esposte può derivare l'opportunità di allargare i confini della Zona 65 in maniera da comprendere anche gli eventi limitrofi e che mostrano cinematica analoga a quella prevista. Alcuni di questi infatti, pur rappresentando le massime energie strumentali finora espresse nell'area, non ricadono attualmente in nessuna zona sismogenetica. Può essere anche da valutare la possibilità di limitare la zona 65 alla sua sola porzione orientale, incorporando la sismicità storica della bassa Valle del Crati (1887, 1913) nella Zona 66.

 

La zona sismogenetica 66 comprende la Valle del Crati e quella del Savuto fino a Falerna.

In epoca storica, il segmento meridionale è stato caratterizzato da un unico evento di grande energia (27 marzo 1638, Imax =11), mentre quello settentrionale è stato interessato da eventi di minore intensità, anche se più frequenti.

Anche la distribuzione degli epicentri localizzati dal 1986 mostra una netta separazione tra la porzione settentrionale, sede di numerose scosse strumentali, e quella meridionale che appare al momento quiescente. Tra le scosse di maggiore energia registrate in questo periodo si possono contare venticinque terremoti con m Æ 3.0, anche se solamente due superano la magnitudo 3.5. Sono da ricordare i due terremoti del 20 febbraio 1980, rispettivamente di magnitudo 4.3 e 4, che produssero danni del VII MCS nel territorio di Rende e nell'immediato circondario di Cosenza. In realtà gli eventi di maggiore energia negli ultimi 15 anni sembrano localizzati in prevalenza al margine orientale della zona, in continuità con la sismicità dell'altopiano silano, mentre sono rari gli epicentri localizzati in coincidenza dell'emersione delle maggiori faglie regionali sul bordo occidentale della Valle del Crati (CS2 nella mappa delle faglie attive).

La sismicità della Zona mostra un'andamento piuttosto regolare nel tempo anche se di basso livello. Gli eventi maggiori si sono espressi come scosse singole o sono stati seguiti da un numero sempre limitato di repliche. La distribuzione delle scosse con la profondità mostra un notevole addensamento di ipocentri tra i 10 ed i 30 km, carattere questo comune anche alla sismicità della fascia silana (vedi oltre). I consistenti rilasci di energia che si osservano fino a 60 km sono verosimilmente connessi con la flessura e la subduzione della piastra ionica sotto la microplacca calabra. A profondità maggiori di 30 km infatti stati osservati diversi terremoti con meccanismo focale compressivo (Moretti e Guerra, 1997).

La cinematica recente è controllata da almeno 4 segmenti di faglia maggiori (CS2, CS3, CS5, CS6) attivi dopo il Pleistocene e con evidenze di riattivazione in occasione del terremoto del 27 marzo 1638 (Imax =11).

I diversi segmenti sono in realtà sono separati alla latitudine di Cosenza da una faglia di trasferimento diretta E-W (CS7) e le due aree presentano caratteristiche morfologiche e strutturali piuttosto diverse. Tenendo presente anche la diversa distribuzione della sismicità strumentale e storica tra la porzione settentrionale (Valle del Crati) e quella settentrionale (bacini di Piano Lago e Decollatura), sarebbe interessante approfondire le modalità di interazione tra i due segmenti e valutare l'opportunità di identificare due zone distinte

 

Settore centrale dell'Altopiano Silano.

Tra le attuali zone sismogenetiche 66 e 67 è frapposta un'area nella quale non vengono ricordati eventi sismici di elevata energia in tempi storici, tuttavia indagini di campagna eseguite negli ultimi anni da componenti dell'U.R. dellíUniversità della Calabria hanno portato al riconoscimento di una faglia normale con attività olocenica che disloca la sommità del massiccio silano (faglia Cecita - Silvana Mansio, CS20 nella mappa delle faglie attive) e di un sistema trascorrente positivo (linea delle Vette, CS7, vedi anche Moretti e Guerra, 1997), lungo il quale si è localizzata negli anni più recenti una insistente attività microsismica che ha più volte superato la soglia di avvertibilità. In effetti la sismicità degli ultimi 15 anni ha fatto registrare ventinove scosse con m Æ 3.0, di cui quattro superiori a 3.5. Tra queste la scossa principale della già citata sequenza dell'aprile 1996, ed i terremoti del 2 dicembre 1995 e del 24 aprile 1991.

L'andamento delle scosse nel tempo ha risentito delle recenti sequenze sismiche dell'aprile 1996 e del luglio 1997, ma si mantiene comunque su livelli più elevati rispetto alla media calabrese anche al di fuori di questi eventi eccezionali. Analogamente alla Zona 66 in profondità sono evidenti un massimo di fuochi tra 15 e 20 km e consistenti rilasci di energia fino a profondità di oltre 50 km.

Appare quindi evidente che l'area della Sila è tutt'altro che asismica, e deve trovare una sua collocazione all'interno della zonazione sismogenetica. In alternativa alla sua possibile "promozione" a nuova zona, si potrebbe pensare di incorporarla in parte nella zona 65, allargando il limite meridionale di questa fino a comprendere tutta la fascia a cinematica trascorrente. La restante porzione potrebbe eventualmente venire associata alla zona 66, con cui ha in comune molti elementi nella distribuzione della sismicità, fermo restando la possibile distinzione di quest'ultima in due zone separate.

 

La zona sismogenetica 67 comprende il versante orientale della Sila ed il Bacino Crotonese, arrivando a contenere anche parte dell'offshore ionico.

Storicamente la Zona è stata interessata da due terremoti di grande energia (9 giugno 1638, Imax = 10; 8 marzo 1832, Imax = 10), mentre mancano attendibili informazioni sulla sismicità di minore energia e sulle repliche. Entrambi gli eventi maggiori furono preceduti da scosse premonitrici che limitarono il numero delle vittime.

La Zona è stata soggetta dal 1986 a trentatrè scosse con m Æ 3.0, di cui quattro con magnitudo addirittura superiore a 4.0. Tra questi ricordiamo le due scosse del 24 gennaio 1990 (m= 4.5 e 4.1). Il terremoto del 23 agosto 1993 (m = 4.0) ha avuto profondità focale di 65 km, per cui gli effetti macrosismici sono stati modesti; va anche ricordato il terremoto di Crotone del 15 agosto 1977, di magnitudo 5.5, localizzato ad oltre 50 km di profondità e con meccanismo focale compressivo. Questi eventi sono da mettere in relazione alla flessura della litosfera ionica ed appartengono quindi ad un diverso contesto sismotettonico rispetto alle scosse più superficiali, correlate alle faglie normali che separano la Sila dal Bacino Crotonese (Moretti, 1993) o ad elementi trascorrenti di svincolo crostale (CS8, CS9 e CS12 nella mappa delle faglie attive).

La distribuzione nel tempo della sismicità è pittosto costante; analogamente alla Zona 65 non sono state rilevate mai consistenti sequenze di repliche delle scosse maggiori. La profondità degli ipocentri mostra un evidente massimo tra 15 e 20 km, mentre consistenti rilasci di energia sono localizzati fino a 50 km e, sporadicamente, fino a 90 km nella zona di flessura.

La struttura tettonica che la caratterizza è costituita da una grande faglia normale (Faglia del Marchesato, CS8), che si estende in senso N-S per oltre 60 km e mostra dislocazioni verticali fino a 2000 m dopo il Pleistocene inferiore (Moretti, 1993); le fonti storiche riportano notizie di movimenti verticali della faglia in occasione del terremoto del 9 agosto 1638. Altre strutture di ordine minore (p.es. CS9) hanno mostrato evidenze di riattivazione in occasione di terremoti storici. Alla faglia principale è associato un esteso sistema idrotermale ad alimentazione profonda (Quattrocchi et. al., 1999) che evidenzia la tettonica attiva dellíelemento.

La Zona appare troppo estesa verso E perché comprende oltre alla sismicità crostale connessa con le faglie N-S che bordano ad oriente l'altopiano silano anche quella subcrostale al largo delle coste crotonesi, che deve essere invece attribuita alla flessura ed alla subduzione dell'avampaese ionico. Si propone pertanto un ridimensionamento della zona sismogenetica, con la sua limitazione alla fascia interessata dalle strutture estensionali più superficiali. Nell'ottica di inglobare l'area silana nelle zone adiacenti potrebbe essere ampliata fino a comprendere i bordi della Sila, interessati come visto da terremoti con meccanismo compatibile con le strutture estensionali N-S, come quello del 24 aprile 1991.

 

Zona sismogenetica 68.

Comprende la fascia di raccordo tra Calabria meridionale e settentrionale, in corrispondenza di un evidente elemento morfologico (Stretta di Catanzaro). La sismicità storica si è espressa in questa Zona con valori di danneggiamento estremamente elevati, in particolare in occasione dei terremoti del 5 novembre 1659 (Imax = 10), del 28 marzo 1783 (Imax = 11) e dell'8 settembre 1905 (Imax = 10). Oltre a questi la zona ha risentito anche di numerosi terremoti minori nonché degli effetti di eventi di grande energia nelle aree limitrofe.

La sismicità degli anni più recenti tuttavia si è mantenuta su di un livello molto modesto, con solo dieci scosse di magnitudo superiore a 3.0, di cui solo una superiore a 3.5, localizzata sotto la moho.

Anche in numero mensile di scosse registrate è molto basso, tranne che in occasione delle repliche della scossa del marzo 1994, tutte localizzate a profondità superiore a 15 km, e di un piccolo sciame nel settembre 1990.

La profondità degli epicentri mostra un massimo tra 30 e 40 km, con un rilascio continuo di energia fino ad oltre 50 km. Questo sembra indicare che la struttura trascorrente evidente in superficie e ben nota in sismica (faglia di Catanzaro, Finetti e Del Ben, 1986) possa essere continua anche in profondità, fino ad interessare tutta la litosfera. Tale fatto favorirebbe l'indipendenza cinematica dei due maggiori sementi del blocco calabro, che viene suggerita anche dalla distribuzione nel tempo dell'attività sismica storica.

Evidenze di tettonica attiva si hanno solamente sul segmento di faglia (CS18) che borda il limite settentrionale della struttura, mentre la restante porzione dell'area è quasi sempre sepolta sotto depositi e coperture quaternarie.

Allo stato attuale non sembra di poter suggerire modifiche e perfezionamenti ai limiti ed alla interpretazione cinematica della Zona.

 

Per quello che riguarda la Calabria meridionale, una consistente attività microsismica si è verificata nelle Zone 69, 71 e 72, mentre è stata quasi completamente assente nella Zona 70, quest'ultima peraltro scarsamente interessata anche da terremoti storici.

Allo stato attuale tuttavia non è possibile fare una correlazione diretta tra la distribuzione tra l'andamento della sismicità strumentale e le strutture tettoniche superficiali per mancanza di adeguate informazioni sulla cronologia delle deformazioni e sulla cinematica di queste ultime.

Una migliore caratterizzazione di questi parametri, oltre al proseguimento delle osservazioni strumentali sulla sismicità, fanno parte dei programmi di ricerca dell'Unità Operativa per i prossimi anni.



Riferimenti

Baratta M., 1895: Il terremoto di Viggianello (Basilicata) del 28 maggio 1894 - Boll. Soc. Sism. It., 1, 82-88.

Bruno G., Gervasi A., Guerra I. e Moretti A., 1997: La sequenza sismica dellíaprile 1996 al bordo settentrionale della Sila - Atti 16° Conv. Ann. GNGTS, in stampa.

Colozza R., De Sortis A., Goretti A. e Gerard R., 1996: Missione di ricognizione degli effetti del sisma che ha interessato la Sila il 27 aprile 1996 – T.R. Serv. Sismico Naz., Roma

Currà F., Guerra I. e Moretti A., 1994: Shallow seismic activity in the southeastern Tyrrhenian Sea and along the Calabria-Lucania border, Southern Italy – Boll. Geofis. Teor. Appl., 36, 309-409.

Finetti e Del Ben, 1986: Geophysical study of the tyrrhenian opening - Boll. Geoph. Teor. Appl., 28, 75-155.

Gasparini C. e Tertulliani A., 1988: Il terremoto calabro-lucano dellí8 gennaio 1988 – Geol. Tecn., 88/2, 44-47

Monachesi G. e Stucchi M., 1997: DOM4.1, un database di osservazioni macrosismiche di terremoti di area italiana al di sopra della soglia del danno – http://emidius.itim.mi.cnr.it/DOM

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Quattrocchi F., Lombardi S., Ciampi I., Guerra I., Moretti A. e Pizzino L., 1999: Fluid geochemistry and seismotectonics of the Central-Northern Calabrian Arc - Submitted to Tectonophisycs.