Progetto 5.1.2 "Inventario delle faglie attive e dei terremoti ad esse associabili"


Carta delle faglie tardo-quaternarie dell'Appennino Meridionale

UR Università di Napoli (Resp. A. Cinque)
a cura di A. Ascione e A. Cinque

La mappa qui presentata è stata elaborata sintetizzando dati editi ed inediti prodotti dalla UR Uni Napoli coordinata da Aldo Cinque nell'ambito del PE, nonché dati derivanti da studi precedenti e paralleli condotti dal gruppo di Geomorfologia e Geologia del Quaternario del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università Federico II di Napoli (A. Amato, A. Ascione, P.P.C. Aucelli, C. Caiazzo, N. Robustelli, P. Romano, C. Rosskopf, F. Scarciglia e N. Santangelo).

Le strutture mappate rappresentano talora singole faglie, talaltra sciami di faglie subparallele che per motivi di scala non potevano essere mappate singolarmente. Nei casi di questo secondo tipo si è marcata la faglia che, all'interno dello sciame, ha assommato i rigetti maggiori e/o che presenta maggiore continuità e lunghezza.

In questa versione sono mappate con identico simbolo sia faglie che hanno assommato rigetti di una o alcune centinaia di metri, sia faglie che hanno rigetti tra il metrico ed il decametrico. Per maggiori informazioni sui rigetti e sulla geometria dei movimenti si rimanda alla versione ANPA ancora in via di completamento.

Sono state inserite nella mappa sia linee la cui attività tettonica negli intervalli cronologici considerati è certa (faglie che dislocano terreni e/o elementi morfologici datati), sia linee per le quali l'attività nell'intervallo è ritenuta probabile (linee tratteggiate). Nei casi di questo secondo tipo, il margine di incertezza (che riteniamo comunque basso) è talora legato alla mancanza di datazioni che confermino in modo definitivo l'appartenenza al tardo Quaternario delle più recenti formazioni e morfologie dislocate; talaltra al fatto che l'attività recente di alcune strutture è da desumere solo da evidenze geomorfologiche quali, ad esempio, la configurazione ed il grado di evoluzione delle relative scarpate di faglia.

Tra la Campania settentrionale e la zona del Pollino, la fascia più interna dell'Appennino (zona peritirrenica) risulta interessata da una estensione che attiva soprattutto strutture antiappenniniche che di solito si estinguono verso NE contro lineamenti appenninici ereditati ed a tratti riattivati. Nella depressione dell'alta valle del Volturno l'estensione longitudinale sembra essere penetrata più all'interno ed aver interagito con le faglie di direzione appenninica che interessano il massiccio del Matese (alcune delle quali sono attive durante il colmamento della depressione).

Nella zona del vulcano Roccamonfina si osservano faglie orientate E-W di modesto rigetto ed assumono rilevanza faglie ad andamento meridiano che appaiono localizzate solo a questo settore: per esse appare ipotizzabile una origine legata a fenomeni di vulcanotettonica che riattivano faglie del substrato di diversa età ed orientazione. Casi simili sembrano essere quelli di Ischia e dei Campi Flegrei (che hanno ritmi di sollevamento e fagliazione tardoquaternaria fino a centimetri per anno come medie millenarie) nonché dell'area vesuviana.

Nella Campania centrale assumono evidenza faglie circa E-W che controllano la Valle del Calore beneventano e guidano collassamenti nella fascia peritirrenica tendendo ad allargare verso oriente, oltre il limite interno della Piana Campana, l'area subsidente. In particolare, nell'area ad est del limite meridionale della Piana Campana, questa tendenza è continuata anche dopo l'eruzione dell'Ignimbrite Campana, avvenuta intorno a 36 ka. Disturbi tettonici di analoga orientazione si osservano anche nell'area dell'ex avanfossa, dove condizionano il reticolo di dissezione fluviale sul plateau dei Conglomerati di Irsina e dislocano il riempimento mediopleistocenico del bacino di Venosa.

Circa gli slip rate, gli unici dati di dettaglio (portata e frequenza dei singoli eventi) sono quelli, ben noti, che derivano dalle trincee ING ed ANPA sul M. Marzano e al piede del M. Pollino, che campionano solo qualcuna delle tante strutture potenzialmente attive. Per un discreto numero di altre faglie, gli slip rate possono essere calcolati solo come medie su lunghi intervalli di tempo (104 - 105). Le faglie che hanno cumulato, nel corso del Quaternario, i maggiori rigetti sono quelle che marginano i graben peritirrenici e le conche intra-appenniniche. I primi si sono impostati nel corso del Pleistocene inferiore; le seconde sembrano risalire al Pleistocene medio (ma la parte più bassa del loro riempimento è datata solo in qualche caso). Il tasso di scorrimento può essere approssimativamente ricavato dai ritmi medi tenuti della sedimentazione in tali depressioni. Per i graben peritirrenici, considerando la subsidenza delle loro parti più ribassate, si ottengono valori intorno ai 2 mm/a; tale valore andrebbe tuttavia suddiviso per il numero di faglie che formano le gradinate sepolte intorno a questi massimi depocentrali. Per le conche intramontane gli spessori deposti darebbero ritmi di dislocazione medi intorno a 0.3 mm/a, ma questi valori sono probabilmente approssimati per difetto sia perché l'aggradazione potrebbe non aver compensato tutto lo slip tra depocentro e damming structure (in concomitante dissezione), sia perché gli spessori deposti danno ragione solo della surrezione (relativa) registrata dal più basso dei blocchi richiudenti la conca.

A partire dall'alto Pleistocene medio pare essersi verificata una riduzione dei ritmi di fagliazione, almeno nell'ambito delle fasce peritirrenica ed assiale della catena e a nord del confine calabro-lucano. Tra le evidenze a supporto di ciò vi è il modesto rigetto (non più di 20-30 metri) mostrato dalle faglie che disturbano le superfici deposizionali del Pleistocene medio (esempi: l'edificio del Roccamonfina, i terrazzi dell'alto Volturno e delle valli dell'Agri, del Sele e del Tanagro), per cui la loro attività tardoquaternaria deve essere stata o molto lenta (tra 0,05 e 0,15 mm/a su tutto l'intervallo) o molto sporadica. Anche le scarpate di faglia perimetrali delle depressioni funzionanti come depocentri, non manifestano caratteri morfologici tali da far ritenere sensibilmente diversi i ritmi di dislocazione.

D'altra parte, nel Pleistocene superiore-Olocene sembra ugualmente ridotta la subsidenza della Piana Campana a nord dei Campi Flegrei, mentre raggiunge una sostanziale stabilità la depressione della Piana del Garigliano. La piana del Sele, subsidente nel Pleistocene inferiore e medio p.p., subisce leggeri sollevamenti (fino a una trentina di metri) nel tardo Pleistocene medio e nel Pleistocene Superiore p.p. (Wurm).

Nel Pleistocene superiore - Olocene gli alti strutturali che, nella fascia peritirrenica, si alternano ai graben, registrano una sostanziale stabilità che fa seguito ad un prevalente sollevamento (alcune centinaia di metri) nel corso del Pleistocene inferiore e medio. Nel Golfo di Napoli e nella Piana Campana meridionale, infine, si registra una notevole tettonica tardoquaternaria che riattiva faglie sia NE che NW anche in connessione con eventi vulcano tettonici tra i quali quelli che determinarono la grande eruzione dell'Ignimbrite Campana (circa 36ka).

Da quanto è emerso da aree fatte oggetto di analisi più approfondite (inclusive di raccolta ed elaborazione di dati mesostrutturali), sembra che le dislocazioni tardoquaternarie siano quasi sempre avvenute (almeno a livello "superficiale") lungo faglie ad alto angolo che erano presenti dal Pleistocene inferiore-medio (in certi casi anche dal Pliocene), costituendo delle riattivazioni di piani giacenti in modo compatibile con i campi di stress recenti. E' probabilmente da legarsi alla preesistenza di più sistemi di faglie variamente orientati anche l'andamento planimetrico zigzagante di molte faglie tardoquaternarie. In particolare si notano strutture mediamente orientate NW-SE (appenniniche) che si compongono di tratti N120/150 alternati a tratti circa E-W, nonché strutture a sviluppo medio in direzione NE-SW (antiappenniniche) che si compongono di tratti N50/70 e tratti N110/150.

Va anche osservato che la mappatura qui proposta è da considerarsi certamente lacunosa e di dettaglio disomogeneo. Ciò dipende innanzitutto dal fatto che per diversi e vasti settori della regione considerata (soprattutto nelle aree esterne della catena), non sono mai stati effettuati studi geomorfologici e stratigrafici di dettaglio adeguato agli scopi di questo lavoro. Inoltre va ricordato che il riconoscimento geomorfologico/stratigrafico delle faglie recenti è proceduto con metodi e limiti molto diversi nei differenti scenari litologici ed orografici in cui si articola l'Appennino meridionale. In particolare, esso ha dato buoni risultati nelle zone dove ricorrono formazioni tardoquaternarie e superfici deposizionali sulle quali i disturbi morfologici creati dai fagliamenti sono "facilmente" rilevabili. Sebbene in misura minore, possono considerarsi soddisfacenti i risultati ottenuti sulle aree dominate da litologie conservative quali i calcari ed altre formazioni dure. Qui i problemi incontrati sono legati alla difficoltà di riconoscere eventuali rigiochi recenti lungo scarpate che sono cresciute in massima parte per esumazione morfoselettiva di liscioni antichi (pliocenici e infra-medio pleistocenici). La mappatura delle faglie recenti è da considerarsi certamente incompleta su quelle vaste porzioni della catena che sono impostate su litologie di elevata erodibilità e franosità (gran parte delle unità terrigene), dove le scarpate create dalla tettonica recente (specie se lungo pendii o al piede di versanti di faglia più antichi) sono state rapidamente regolarizzate e dove anche la genesi di depocentri a controllo neotettonico è stata verosimilmente impedita dalla pronta dissezione delle damming structure. Un altro scenario sfavorevole alla percezione di tutte le faglie attive nel Pleistocene superiore - Olocene è quello delle aree che in detto periodo (o parte finale di esso) sono state in sensibile aggradazione (pianure dei graben costieri subsidenti; conche intramontane ancora in aggradazione; tratti basali di versanti mascherati da falde e coni in crescita), con conseguente seppellimento di eventuali gradini di faglia.

Nonostante le sopracitate lacunosità e disomogeneità, la distribuzione delle faglie recenti (anche a considerare solo quelle con attività olocenica certa) appare poco combaciante con la distribuzione della sismicità storica, la quale è circoscritta ad una stretta fascia che corre lungo l'asse della catena. Probabilmente ciò deriva dal fatto che diverse delle linee segnate hanno una attività connotata da lunghi tempi di quiescenza (fino a plurimillenari).




Ultimo aggiornamento: 17 maggio 1999