Contributo U.R. UNI CT
PE 98 - Progetto 5.1.1
U.R. Università di Catania, responsabile: F. Lentini
con contributi di M. Grasso e F. Ghisetti
15 ottobre 1999







1- Sicilia nord-orientale
L'U.R. è stata impegnata nell'acquisizione di dati finalizzati al raggiungimento di due principali obiettivi. Da un lato, si è proceduto all'elaborazione e stampa di uno schema geologico-strutturale dell'intero settore della Sicilia nord-orientale, alla scala 1:100.000. Tale risultato consente oggi di poter disporre di una cartografia aggiornata dell'intero settore orientale dell'isola che si va ad aggiungere alla cartografia esistente e risalente agli anni '80. La nuova cartografia prodotta ha preso spunto da rilievi già effettuati in aree campione (Carta Geologica del Golfo di Patti, 1993; Carta geologica dei Monti di Taormina, 1994; Carta geologica di Messina, 1994) ed è consistito nell'estensione dei rilievi geologici all'intero settore dei Monti Peloritani e al settore orientale dei Monti Nebrodi, fino al margine settentrionale del Monte Etna. Questo nuovo documento cartografico, basato su rilievi originali alla scala 1.10.000 e 1.25.000, ha consentito di ricostruire la geometria di dettaglio dei principali sistemi di faglie affioranti in questo settore dell'isola, con la definitiva validazione dello schema tettonico già proposto in Lentini et al. (1995) (Schema strutturale dei Monti Peloritani) i cui principali allineamenti sono sintetizzati nella Fig.1.
Parte dei rilievi effettuati, sono stati utilizzati per la redazione di una carta geologica, alla scala 1:25.000, di un'area campione a cavallo della cosiddetta "Linea di Taormina", dove sono espressi i rapporti tra le unità peloritane e le unità nebrodiche nonchè evidenziate le principali associazioni strutturali relative ai differenti stadi deformativi che si soo succeduti nell'area (Carta geologica del settore occidentale dei Monti Peloritani, 1998).
L'elemento tettonico predominante nell'area nord-orientale della Sicilia, è il cosiddetto "Sistema Sud-Tirrenico" (Lentini et al., 1996; Finetti et al., 1996), che, nella definizione degli Autori, comprende l'insieme delle faglie destre ad orientazione NW-SE, che si sviluppano dal margine peri-tirrenico dell'isola fino ai settori esterni della catena. Queste strutture geometricamente si saldano ad alcuni dei principali fronti di accavallamento Plio-Pleistocenici, ad orientazione E-W, caratterizzati da una cinematica obliqua destra con vergenza maridionale. Tali fronti dislocano elementi di catena pre-esistenti ed hanno controllato in gran parte l'evoluzione morfologica recente dell'area (Catalano, 1996). Essi infatti definiscono il bordo meridionale della dorsale nebrodica. che oggi costituisce la zona assiale del segmento orogenico della Sicilia orientale. Evidenti fenomeni di surrezione della zona assiale sono stati documentati almeno fino al Pleistocene medio terminale (200 ky)(Catalano, 1996).
Particolare cura è stata riservata al settore peri-tirrenico della zona assiale. In quest'area l'analisi geologica ha consentito di individuare il set di faglie normali recenti, ad orientazione NE-SW, con attività documentata fino almeno al Tirreniano. Analisi morfologiche e biostratigrafiche condotte in quest'area hanno permesso di ricostruire un rigetto cumulativo di circa 550m, a partire da 600ky, lungo le scarpate di faglie normali del settore settentrionale dei Monti Peloritani (Catalano e Di Stefano, 1997). Nella stessa area le analisi geomorfologiche hanno consentito di stabilire, nel periodo di attività delle faglie normali, un tasso di sollevamento medio di 1.0-1.1 mm/a (Catalano e Cinque, 1995; Catalano e Di Stefano, 1997). Il lavoro di terreno è stato integrato dall'analisi di dati della sismica a mare in collaborazione con il gruppo di ricerca dell'Università di Trieste coordinato da I. Finetti, nell'ambito del progetto CROP-mare. Da tale collaborazione è stato possibile un tentativo di ricostruzione dei caratteri crostali dei diversi settori orogenici coinvolti nella zona collisionale (da Finetti et al., 1997). Dai dati a terra e i dati sismici a mare si è inoltre tentata la ricostruzione della geometria profonda dell'orogene lungo un transetto Tirreno-Iblei, attraverso la Sicilia orientale (Fig. 2).
Nella sua stesura definitiva (Schema geologico-strutturale della Sicilia nord-orientale, 1998), lo schema geologico offre una visione integrata tra la geometria di superficie e il possibile collegamento con la struttura profonda. La edizione definitiva è stata concepita per favorire una lettura di questo documento finalizzata alla distinzione tra possibili strutture radicate ed associazioni strutturali pellicolari, vincolo fondamentale nella definizione delle potenziali sorgenti sismogenetiche.






2- Sicilia sud-orientale
Nell'ambito della ricerca effettuata dalla U.R. dell'Università di Catania, lo scrivente si è occupato delle strutture dell'Avampaese Ibleo ed in particolare di quelle che bordano i margini, a nord e ad ovest verso l'avanfossa Catania-Gela e ad est verso la scarpata ibleo-maltese. La ricerca è stata integrata da fondi provenienti da altri progetti di ricerca. Il lavoro di base è consistito nella produzione di una cartografia al 50.000 aggiornata di gran parte dell'area iblea (Grasso, 1997) che si va ad aggiungere alla cartografia esistente alla scala 1:100.000 e 1:50.000, prodotta negli anni '

Assieme alla cartografia sono stati affrontati gli aspetti più inportanti riguardanti la tettonica recente e attiva lungo il bordo del plateau e le sue relazioni con la sismotettonica. Il bordo settentrionale del Plateau Ibleo ha subito un catastrofico collasso al limite Plio-Pleistocene, dopo un periodo di emersione e sollevamento iniziato nel Miocene superiore (Yellin Dror et al., 1997). Durante queste energiche fasi estensionali che hanno originato la configurazione attuale del margine del plateau si è avuto anche un acme dell'attività vulcanica con produzione di notevoli volumi di tholeiiti, estruse in massima parte in ambiente sottomarino. L'attività tholeiitica è avvenuta in un tempo estremamente breve, concentrata intorno a 2 Ma fa. A questa attività vulcanica ha fatto seguito un'ultima fase, a composizione alcalina, protrattasi fino a circa 1.3 Ma (Schmincke et al.,) e un sollevamento areale (di circa 800 metri) che perdura tutt'oggi.
E' stata effettuata un'analisi sul terreno in corrispondenza delle linee tettoniche più importanti, dove, in tempi storici, si sono concentrati danni notevoli in occasione di forti sismi. Tale analisi è stata integrata da dati sismici, commerciali ed inediti. Le faglie bordiere, che separano il margine settentrionale del plateau, sono in larga parte suturate dai depositi marini emiliani (1.2 Ma) e solo in pochi casi si osservano sul terreno riattivazioni di strutture che interessano i depositi infrapleistocenici (Torelli et al., 1998) (Fig. 3).

Sul bordo occidentale, sollevamenti legati all'attività delle faglie bordiere, sepolte sotto la Piana di Vittoria e lungo il fronte della Falda di Gela, sono stati calcolati sulla base di evidenze tettoniche e morfologiche fino al Pleistocene medio (Grasso et al., 1995; Lickorish et al., 1999). Faglie recentissime a direzione NW-SE, che dislocano i depositi tirreniani, sono state individuate sulla costa meridionale iblea (Grasso et al., in stampa). Sul bordo ionico, faglie molto recenti legate alla complessa struttura ibleo-maltese (Fig. 4), mostrano all'analisi mesostrutturale meccanismi di dip-slip puro associati a meccanismi di strike-slip sinistri e obliqui. La cinematica di queste strutture, alcune delle quali dislocano forme carsiche recenti impostate sulle piattaforme di abrasione tirreniane, mostra interessanti analogie con i meccanismi focali calcolati per i terremoti che hanno interessato di recente la zona (Adam et al., in stampa).

Altra analisi condotta nell'Avampaese Ibleo è quella della misura strumentale del campo di stress attivo in questa parte della placca africana. La ricerca, iniziata negli anni '80 utilizzando tecniche di misura a bassa profondità col metodo del door-stopper (Grasso et al., 1986; Gardiner et al., 1995) è proseguita, nell'ambito del progetto PE98, con l'analisi del break-out misurato su 23 pozzi per ricerca petrolifera. I dati ottenuti con questa diversa metodologia sono in perfetto accordo con quelli ottenuti in precedenza. Lungo tutto il plateau carbonatico la direzione di SHmax è coerente e si mantiene su N140. Nei carbonati iblei del campo petrolifero di Gela, sottostanti la falda e presenti a profondità intorno ai 3000 metri, la direzione di massima compressione assume un andamento N-S (Ragg et al., 1999) allineandosi con la direzione di traslazione dell'alloctono sovrastante. Il campo di stress regionale sembra, quindi, che si sia trasmesso anche al substrato carbonatico autoctono.






3- Modalità di riattivazione, circolazione dei fluidi e rottura sismica per alcune delle principali faglie normali nelle zone esterne dell'Appennino centrale

Introduzione
La regolare distribuzione delle strutture compressive ed estensionali in fasce longitudinali ad allineamento Appenninico risulta bruscamente interrotta nelle zone centro-Appenniniche, ed in particolare in un'area di collasso estensionale situata ad est dello spartiacque, e corrispondente al "Central Apennines Downfaulted Area" (CADA) di Ghisetti & Vezzani (1999a). In questa regione le faglie normali dislocano e sollevano intensamente un segmento della catena peri-Adriatica fortemente raccorciato e accavallato contro il saliente di avampaese del Gargano.

Il collasso estensionale del CADA è connettibile ad una tettonica gravitativa pellicolare, e pertanto del tutto differenziato dai meccanismi estensionali di rifting operanti nelle zone interne peritirreniche. La definizione di tali differenze di meccanismi ed evoluzione spazio-temporale della deformazione estensionale in catena é fondamentale per una corretta interpretazione dello stile e delle modalità di fagliamento sismico nella regione centro-Appenninica.

Assetto strutturale del CADA
Il CADA occupa una fascia ad orientazione NW-SE, ampia 35-40 km e lunga 100 km. E' bordato ad est e nord-est da una dorsale esterna definita dai rilievi montuosi della Maiella, Gran Sasso e M. Gorzano. Le faglie normali che delimitano la zona decorrono sub-parallele ai fronti arcuati di sovrascorrimento, mimandone la geometria regionale e dislocano il settore peri-Adriatico fortemente raccorciato che comprende le unità alloctone del Gran Sasso, M. Morrone, Maiella e Casoli (Ghisetti & Vezzani, 1997).
La segmentazione estensionale ed il forte sollevamento del CADA sono controllati da faglie principali con orientazione N 110° nelle aree affondate di Campo Imperatore-L'Aquila, al retro del fronte del Gran Sasso e N160°-170° nella zona del M. Morrone-Maiella (Vezzani & Ghisetti, 1998).
Il rigetto totale medio delle principali faglie normali, se calibrato su orizzonti di età Miocene inferiore-medio è dell'ordine di 1-2 km; rigetti maggiori, dell'ordine dei 4 km, sono invece stimabili per la faglia normale della Maiella qualora calibrati su orizzonti di età Pliocene inferiore. Le principali faglie normali sono tutte state riattivate durante l'intervallo Pleistocenico. I sollevamenti medi stimati sono dell'ordine dei 1-2 mm/anno, ciò che suggerisce che i piani di faglia attualmente esposti in superficie sono stati esumati da profondità dell'ordine dei 1-3 km.

Caratteristiche strutturali ed evidenze di ripetura riattivazione delle principali faglie normali del CADA
Le principali faglie normali del CADA mostrano tutte una strutturazione cataclastica delle rocce di faglia loro peculiare. Sono state differenziate, sulla base di indagini macro e microstrutturali, 6 distinte zone, caratterizzate da deposizioni multiple di cementi calcitici che riempiono zone tensionali all'interno del piano, e da un diverso gradiente ed allineamento delle fratture cataclastiche (Fig.5). I limiti tra le zone sono in genere corrispondenti a superfici di taglio planari di spessore millimetrico e striate. E' rilevante che tali caratteri possano essere riconosciuti in modo pressoché identico per faglie diverse e non collegate.
La zonazione strutturale delle rocce di faglia suggerisce che le mesostrutture si siano formate durante una sequenza di ripetuti episodi di taglio alternati ad episodi di apertura tensile. La mobilizzazione delle faglie testimoniata da queste strututre è collocabile negli ultimi stadi di esumazione e deve essere avvenuta in presenza di fluidi capaci di precipitare cementi calcitici che hanno di volta in volta riconsolidato le rocce cataclastiche generate dai singoli episodi di rottura.

Faglie attive e circolazione dei fluidi
Per alcune delle principali faglie normali dell'area (Campo Imperatore, Castel del Monte, Sulmona, Venere, Rivisondoli), sono state fatte campionature mirate ad evidenziare anomalie negli isotopi del Carbonio e dell'Ossigeno nei cementi calcitici delle faglie relativamente alle rocce incassanti (Ghisetti et al., in prep.). I dati raccolti indicano che, in contrasto con quanto osservabile per le strutture compressive, le faglie normali sono carartterizzate da cementi che hanno valori isotopici molto inferiori a quelli delle rocce incassanti. Questi dati suggeriscono che i fluidi che hanno circolato lungo le faglie, fino a profondità di alcuni km, sono prevalentemente di origine meteorica.

Questi fluidi possono certamente contribuire alla riattivazione sismica dei piani di faglia. Tuttavia, come sottolineato, per nessuna delle faglie affioranti la campionatura può fornire informazioni sui processi operativi alla profondità di generazione di gran parte degli eventi sismici nell'area. Ne consegue che, coi dati a disposizione, non è possibile avanzare ipotesi sulla presenza dei fluidi nella zona di sorgente sismogenetica o durante il ciclo sismico. E' tuttavia chiaro che i fluidi sono presenti almeno nelle porzioni superiori delle faglie sismicamente attive durante i diversi episodi di rimobilizzazione.

 

Conclusioni
I caratteri tettonici dell'Appennino centrale possono essere interpretati considerando che tutto il settore bordato ad est dalle dorsali Maiella-Gran Sasso- Gorzano, e ad ovest dallo spartiacque Appenninico appartenga ad un settore fortemente sollevato non ancora compensato isostaticamente. I margini orientale ed occidentale del CADA corrispondono rispettivamente a: 1. la discontinuità al margine di sovrascorrimento con l'avampaese Adriatico fortemente subsidente e, 2. La fascia di disequilibrio gravitativo che separa la zona assottigliata peri-tirrenica dalle zone orientali, ove la catena è stata soggetta a tassi di estensione molto inferiori.

Il sollevamento ed il fagliamento del CADA non sono pertanto connessi, né spazialmente, né temporalmente, con la migrazione verso est del fronte estensionale peri-tirrenico (Fig. 6). Nel CADA le faglie normali appaiono radicarsi su orizzonti di scollamento pellicolari, non penetrano a forti profondità crostali e, apparentemente, non sono in grado di accomodare forti componenti di estensione. I dati isotopici relativi alle strutture estensionali suggeriscono un sistema da aperto a semi-aperto per la circolazione dei fluidi. I fluidi che sono passati lungo le strutture principali sono probabilmente di origine meteorica. Durante il forte sollevamento con progressiva esumazione delle unità rocciose, l'erosione delle coperture siliciclastiche apicali, unitamente a ripetuti episodi di riattivazione dele faglie possono aver portato a condizioni di permeabilità controllata strutturalmente, in concomitanza con la dissezione dell'edificio compressivo operata dalle faglie normali.

Questa interpretazione sembra accordarsi con la distribuzione delle profondità ipocentrali dei terremoti crostali (GNDT, 1997) che si addensano tra lo spartiacque Appenninico e l'avampaese Adriatico, al limite tra zone soggette a tassi di sollevamento differenziale. Le informazioni disponibili relative ai meccanismi focali indicano come dominanti i processi di fagliamento normale, che secondo la nostra interpretazione accomodano il collasso gravitativo indotto dalle elevate componenti di sollevamento (Ghisetti & Vezzani, 1999).

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