Sismotettonica dell'Italia nord-orientale e possibile comparazione con
gli Appennini
PE98 - Progetto 5.1.1
UR Università La Sapienza, Roma
responsabile: C. Doglioni
6 settembre 1999
Premessa
La sismicità del nordest Italia (Veneto e Friuli) è primariamente
legata a sovrascorrimenti e loro zone di trasferimento transpressivo. La
sismicità è concentrata nelle zone esterne della catena Alpina,
sia per la retrocatena delle Alpi (le Alpi Meridionali o Sudalpino), che
per la catena frontale in Austria e Germania
(Fig.
1). Sismicità è presente anche lungo
l'asse centrale delle Alpi centro-orientali, parallelamente alla Linea Insubrica
(qui nota come Pusteria-Gail). La sismicità strumentale in particolare
registrata dopo gli eventi del Friuli (1976) indica meccanismi focali
principalmente per sovrascorrimento, con campo di stress massimo orizzontale
e orientato mediamente N-S. La profondità media è tra i 5-10
km. La maggior parte dell'energia rilasciata negli ultimi decenni è
inoltre concentrata nelle zone esterne topograficamente meno rilevate. Poco
si sa in termini di profondità dei grandi eventi storici del 1117
del Veronese, del 1348 e 1511 della Carnia e Gemona, del 1695 di Asolo, del
1873 del Bellunese (Camassi & Stucchi, 1997).
Può essere utile un confronto tra la sismicità crostale delle
Alpi orientali con la sismicità degli Appennini: questi ultimi hanno
meccanismi compressivi solo sul lato orientale adriatico-padano, mentre la
sismicità principale è concentrata nelle zone rilevate interne;
inoltre è più profonda (10-15 km), ed è dovuta a meccanismi
distensivi. Capire il perché di queste differenze può dare
un contributo alla comprensione della sismotettonica delle due catene.
Da un punto di visto teoretico si presenta qui un modello per una discussione
in merito. Ogni commento è ovviamente benvenuto. Si cercherà
poi di dare un contributo più specifico alla zonazione dell'Italia
nordorientale.
Riassunto
Il massimo e minimo tensori di stress si invertono lungo sovrascorrimenti
e faglie normali. In regimi compressivi, lo stress verticale è il
tensore minimo (s3) che aumenta ovviamente
con la profondità (rgz) dove
r è la densità
della crosta, g la gravità e z la profondità.
L'aumento del s3 colla profondità
riduce proporzionalmente l'aumento del diametro del cerchio di Mohr colla
profondità. Il contrario dovrebbe avvenire invece in regimi estensionali
dove lo stress verticale è il tensore massimo
(s1), per cui più si scende
in profondità, più proporzionalmente aumenta il diametro del
cerchio di Mohr. Se questo assioma è vero, in ambiente crostale fragile
si dovrebbe avere più facilmente rottura in profondità per
gli ambienti distensivi, e più superficialmente per gli ambienti
compressivi.
Nelle Alpi Meridionali, gli eventi del Friuli del 1976 dovuti a sovrascorrimenti
(Amato et al., 1976) hanno avuto la prima scossa e relativo sciame di maggio
tra i 3 e 6 km di profondità, mentre il successivo evento e repliche
di settembre sono stati più profondi, tra i 5 e 10 km.
D'altra parte, nel terremoto dell'Irpinia del 1980, nell'Appennino Meridionale,
generato da faglie distensive, la scossa principale è avvenuta tra
12 e 16 km di profondità, mentre le successive repliche sono state
più superficiali. Un simile trend dal basso verso l'alto è
stato riconosciuto anche per il terremoto Umbro-Marchigiano del 1997.
In altre parole la sismicità sembra migrare dai livelli crostali più
superficiali verso il profondo negli ambienti compressivi, mentre, sempre
a livello crostale fragile, sembra avvenire il contrario negli ambienti
distensivi, con una migrazione della sismicità dal basso verso
l'alto.
Se questa distinzione tra terremoti distensivi e compressivi crostali
funzionasse, avremmo una possibile chiave di interpretazione per la zonazione
sismotettonica in termini di profondità maggiormente critiche, quindi
di coni isosismici diversi, e di evoluzione della sismicità in un'area
già colpita.
Breve comparazione tra i terremoti del Friuli (1976) e dell'Irpinia (1980)
I due terremoti del Friuli del 1976 si sono verificati il 6 maggio e successive
repliche, e il 15 settembre e successive repliche. La loro magnitudo fu di
6.4 e 6.1 rispettivamente (Amato et al., 1976, Finetti et al., 1976; Finetti
et al., 1979; Cavallin et al., 1984; Slejko et al., 1987; Slejko et al.,
1999). Furono generati da sovrascorrimenti immergenti a nord
(Fig.
2), all'intersezione colla catena Dinarica. La massima
energia rilasciata dalle repliche del 6 maggio fu alquanto superficiale,
tra 2 e 8 km, con picco attorno a 4 km (Amato et al., 1976; Finetti et al.,
1976). Gli epicentri dello sciame di settembre furono circa 8 km a nord,
e gli ipocentri furono più profondi fino a 16-17 km, con la densità
massima a circa 5-6 km (Finetti et al., 1976). Nel contesto della catena
alpina orientale la sismicità si è manifestata nelle zone
topografiche meno elevate, verso la pianura e nelle prealpi, ma è
migrata verso le zone topograficamente più rilevate.
Il terremoto dell'Irpinia del 23 novembre 1980 nell'Appennino Meridionale
fu generato da una faglia normale immergente verso nordest
(Fig.
3), con magnitudo di 6.9, e profondità tra i
12-16 km (Bernard & Zollo, 1989; Amato & Selvaggi, 1993). Questo
evento fu seguito da uno sciame più superficiale. Come anche il terremoto
dell'Umbria-Marche del 1997, la sismicità si è concentrata,
al contrario del Friuli, in zone montuose, migrando eventualmente lateralmente
verso zone topograficamente meno depresse (Barba, 1998, com. pers.).
Modello
Immaginiamo semplicemente un piano di faglia su cui aumenta colla
profondità il carico litostatico, e compariamo questa variazione sia
in ambiente compressivo che distensivo. Il tensore dello sforzo orizzontale,
come già detto lo assumiamo costante colla profondità in entrambe
i casi, anche se questa è una semplificazione irrealistica, ma che
non cambia sostanzialmente il significato del modello. In natura infatti,
lo stress massimo orizzontale aumenta linearmente di circa 0.3 rispetto allo
stress massimo verticale (Twiss & Moores, 1992).
Deviazioni sono principalmente dovute a variazioni della pressione dei fluidi,
che sono funzione della porosità. McGarr (1991) ha dimostrato come
la coltivazione di campi petroliferi nell'ovest degli USA sia stata responsabile
per la diminuzione del carico litostatico verticale e l'attivazione di
macrosismicità lungo sovrascorrimenti attivi.
Il carico litostatico coincide collo stress verticale che è il tensore
di sforzo minimo, o stress minimo s3 in
ambienti tettonici compressivi, mentre è lo stress massimo
s1 in ambienti tettonici distensivi.
Assumiamo che il carico litostatico aumenti di circa 25 MPa/km, e consideriamo
due sezioni (A e B), dove i volumi di roccia a tetto della faglia sono
rispettivamente di 3 e 6 km, e quindi lo stress verticale sia di 75 e 150
MPa (Fig.
4 e
Fig.
5). Consideriamo il caso di un ambiente compressivo,
con s1=250MPa, orizzontale e costante.
Perciò, muovendosi dalla sezione B alla A,
s3 diminuisce e lo stress differenziale
aumenta, essendo questo la differenza tra lo stress massimo e quello minimo,
che nel cerchio di Mohr è appunto il diametro
(Fig.
4). Quindi, la diminuzione del carico litostatico o
s3 allarga il cerchio di Mohr rendendo
il piano di faglia più instabile.
In regimi distensivi dovrebbe avvenire il contrario perché il carico
litostatico è il s1
(Fig.
5). Prendiamo il caso di uno stress minimo orizzontale
di s3=38 MPa. Muovendosi dalla
sezione B ad A, s1 diminuisce da
150 a 75 MPa, diminuendo anche il diametro del cerchio di Mohr e rendendo
il piano di faglia più stabile
(Fig.
5).
In conclusione, nel regime fragile crostale, potremmo aspettarci una migrazione
opposta della rottura e relativa sismicità in ambienti tettonici
compressivi da un lato e distensivi dall'altro. Questo verrebbe spiegato
dall'opposto significato del carico litostatico nei due ambienti, e cioè
di tensore minimo di sforzo negli ambienti compressivi e di tensore massimo
di sforzo negli ambienti distensivi. Questo potrebbe generare una migrazione
verso il basso della rottura in ambienti compressivi, e verso l'alto in ambienti
distensivi.
Applicazioni e sismotettonica dell'Italia nordorientale
Lo sciame del Friuli (1976) non ha prodotto significative evidenze superficiali,
e per questo è stato interpretato come dovuto a strutture cieche,
anche se molto vicine alla superficie. La sismicità storica più
ad ovest (Belluno, Alpago 1936) e gli eventi del Friuli (1976) hanno lasciato
una lacuna sismica nel Friuli occidentale - Bellunese orientale che potrebbe
essere area di potenziale prossima rottura (Aviano, nord di Pordenone), oltre
alla prosecuzione delle strutture pedemontane verso ovest (Bassano).
Negli ultimi anni, zonazioni sismotettoniche del settore Italiano nordorientale
sono state proposte da Slejko et al. (1987), Bressan et al. (1998) e Scandone
e Stucchi (1999). La prima è uno studio integrato che suddivide l'area
in 10 settori, con significato geologico e sismologico diversificato. La
stessa area è suddivisa in grosso modo 7 settori da Scandone e Stucchi
(1999), mentre per il Friuli, Bressan et al. (1998) individuano 5 settori.
Le zonazioni finora fatte si sono basate sulla sismicità storica e
strumentale, e sulla geologia di superficie. Si potrebbe integrare queste
informazioni con altri parametri, quali il rapporto colla topografia e il
carico litostatico delle possibili sorgenti in funzione dello stile tettonico;
inoltre per una nuova zonazione che in qualche modo implementi quanto già
fatto, si dovrebbe valutare il gradiente geotermico, l'inclinazione dei piani
di sovrascorrimento, i valori del tasso di deformazione o strain rate
ricostruibile sulle informazioni geodetiche (in particolare Lageos, più
precise per movimenti tra placche del GPS). Inoltre un quadro di riferimento
geodinamico diverso potrebbe dare una prospettiva alternativa alla
interpretazione sulla sismicità dell'Italia nordorientale. Infatti
la sismicità viene pregiudizialmente attribuita al movimento circa
N-S tra Africa, o placca Adriatica ed Europa, movimenti in larga parte smentiti
o sminuiti dalle misure satellitari Lageos: si veda ad esempio la Fig. 7
di Bianco et al. (1998), dove la placca Adriatica in un riferimento assoluto
si muove verso NE nella stessa direzione dell'Europa, dell'Africa e dell'Asia.
Il nordest italiano, la Slovenia, e il sud dell'Austria, rappresentano un
nodo dove si sono sovrapposte nel tempo la terminazione orientale delle Alpi,
la terminazione settentrionale delle Dinaridi, e la distensione del bacino
di retroarco pannonico. In Friuli in particolare vi è stata la fusione
tra la retrocatena Alpina, antitetica alla subduzione Europea sotto la placca
Adriatica, e la catena frontale delle Dinaridi, sintetica alla subduzione
della placca Adriatica sotto la placca Europea. La distinzione tra retrocatena
e catena frontale ha ripercussioni anche sullo stato termico, parametro primario
nella determinazione dello spessore elastico e potenzialmente sismico della
litosfera.
Considerando la geologia nota e il contesto geodinamico, il nordest Italia
può essere schematizzato in un'area di catena dove è dominante
l'attività compressiva, e si possono aspettare terremoti di magnitudo
anche maggiore di 7, con ipocentri crostali relativamente superficiali
(<20km). Le ondulazioni della catena frontale prealpina sono legate a
eredità reologiche di natura strutturale e stratigrafica paleozoiche
e mesozoiche, che hanno determinato ondulazioni con locali possibili meccanismi
transpressivi. Le rampe oblique e laterali associate a queste zone muoiono
comunque in profondità sul piano di sovrascorrimento che trasferiscono.
Possiamo aspettarci inclinazioni dei piani di sovrascorrimento principali
attivi variabili tra 1° e 40°, con valori medi oscillanti tra i
25°-35° (Linea del Montello, Linea di Bassano e prosecuzione est
Maniago, Linea di Belluno e sua prosecuzione est nella Linea Periadriatica,
Linea della Valsugana). Nel settore settentrionale del Sudalpino orientale,
la Linea Fella Sava e la Linea Insubrica (Pusteria-Gail) sono potenzialmente
attive con meccanismi probabilmente transpressivi destri. Questo è
coerente con la meccanica dei prismi di accrezione generati lungo margini
di placca obliqui rispetto al movimento relativo, cioè in transpressione,
dove il campo di stress massimo devia fino a quasi 90° rispetto ai movimenti
relativi tra le placche (Zoback, 1991; Platt, 1995). Il settore centro-orientale
alpino è stato già da lungo tempo interpretato come un orogene
in transpressione destra per il movimento relativo tra la placca adriatica
e quella europea (Laubscher, 1983).
Nelle Alpi occidentali sono stati descritti anche meccanismi distensivi nelle
zone assiali dell'orogene, con direzione perpendicolare al trend delle strutture
compressive (Eva et al., 1998).
Una zonazione dovrebbe tenere conto dello stato termico della crosta: aree
soggette a parità di campo di deformazione possono essere asismiche
o estremamente sismiche in funzione dell'alto o basso gradiente termico (Scholtz,
1990; Dragoni et al., 1996; Doglioni et al., 1996). L'Italia nordorientale
ha valori di flusso di calore mediamente sui 60 mW/m2, con valori in aumento verso il nordest tarvisiano fino a 90
mW/m2 (Mongelli et al., 1991). Inoltre potrebbe
essere interessante calcolare il calore per frizione (Molnar & England,
1990) rilasciato dagli eventi del Friuli (1976), per valutare un effetto
termico che permetta il creep asismico nel periodo in cui il piano di faglia
fosse ancora caldo (Mongelli, 1997, com. pers.).
Zona di lacuna sismica nell'area dell'Italia nordorientale è tutta
la fascia prealpina compresa tra Schio, Bassano, Feltre, Maniago, dove a
parte alcune locali ondulazioni transpressive di zone di trasferimento come
la zona di Vittorio Veneto-Fadalto, i meccanismi attesi sono di sovrascorrimento.
Considerata l'inclinazione dei piani di sovrascorrimento, e lo spessore della
crosta elastica, ci si può comunque aspettare aree epicentrali almeno
fino a circa 20 km a nord dell'affioramento di ciascuno dei sovrascorrimenti
sudalpini. Stessa cosa vale per i sovrascorrimenti dinarici nel Friuli orientale,
indicanti campo di stress orientato NE, generato dalla subduzione della placca
Adriatica sotto la ex-Yugoslavia.
Il progetto di questa UR è dunque in futuro di elaborare una nuova
zonazione sismotettonica che provi a tenere conto dei criteri suesposti.
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