I terremoti del settembre/ottobre 1997
nel contesto della tettonica e della sismicità di lungo periodo
dell'area umbro-marchigiana

a cura di

M. Stucchi (Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico - IRRS, CNR, Milano)
F. Galadini (Istituto per la Tettonica Recente - ITR, CNR, Roma)
G. Monachesi (Osservatorio Geofisico Sperimentale - OGSM, Macerata)

con la collaborazione di E. Cova (DISTART, BO), I . Leschiutta, A. Zerga (IRRS, MI),
A. Rebez (OGS, TS)

Note brevi ed estese sui terremoti citati sono presentate in
Principali terremoti storici dell'area umbro-marchigiana
a cura di V. Castelli (GNDT presso OGSM, MC)

Inquadramento
La fascia appenninica umbro-marchigiana è sede di sismicità rilevante ma distribuita in modo non omogeneo. Secondo il modello sismogenetico del GNDT (versione 4.0, 1996, da Scandone et al., 1990), questa fascia è divisa in diverse zone sismogenetiche. Secondo il catalogo NT4.1 (Camassi e Stucchi, 1997) le zone più attive risultano la 45, la 46 e la 47.


Queste zone costituiscono la parte assiale della catena, che è caratterizzata principalmente da faglie attive normali e oblique con direzione da NW-SE a N-S, la cui attività è evidenziata dalla dislocazione di depositi e forme di età riferibile al Pleistocene superiore-Olocene.

Gli epicentri dei terremoti del 26 settembre 1997 ricadono nella zona 47, e sono localizzati in un'area compresa tra Serravalle del Chienti, Foligno e Nocera, che risulta caratterizzata da un'attività sismica meno frequente, ad esempio, di quella dell'Alta Valnerina.
Da un punto di vista tettonico l'area epicentrale è caratterizzata dalla presenza di due faglie principali (Faglie di Colfiorito e di Cesi, trend NW-SE a N-S, vedi Pizzi, 1992 e Cello et al., 1997) che bordano a est il bacino di Colfiorito e Cesi, e sono lunghe rispettivamente 7.5 e 6 km.

Nell'area epicentrale di questi eventi ricadono anche i seguenti terremoti con Ms =>5.0:

Questi ultimi eventi hanno magnitudo troppo basse per poter ricavare informazioni sulla faglia che li ha generati sulla base di dati geologici.

Un poco più verso SE sono localizzati i seguenti terremoti con Ms => 5.0:

Poco più a nord dell'area epicentrale degli eventi del 26 settembre sono localizzati i due forti terremoti del 17 aprile 1747 (Monachesi, 1987), area epicentrale Fiuminata, Imax = 9, e 27 luglio 1751 (Monachesi, 1987), area epicentrale Gualdo Tadino, Imax = 10.


In Fig. 2 sono rappresentate, con colori diversi per ciascun terremoto, le località che hanno subito danni maggiori o uguali a 7/8 MCS in occasione dei più forti terremoti localizzati lungo la fascia di catena (dati da DOM4.1, Monachesi e Stucchi, 1997).

La figura mostra che i terremoti del settembre 1997 si sono originati in un'area che non aveva generato terremoti forti almeno a partire dal 1279. In questo caso la faglia responsabile dei terremoti del 1997 potrebbe essere la stessa che ha generato il terremoto del 1279 e, quindi, il tempo di riattivazione della faglia stessa potrebbe essere dell'ordine di 700 anni, o addirittura maggiore se quel terremoto è stato prodotto da strutture sismogenetiche differenti.

Distribuzione temporale dei terremoti principali
L'andamento temporale dei terremoti più forti nell'Appennino umbro-marchigiano è abbastanza irregolare. Nella Fig. 3 è presentata la serie cronologica degli eventi che appartengono alle zone sismogenetiche 45, 46, 47.


Ai terremoti distruttivi del 1279 (già citato), con area epicentrale vicina o addirittura coincidente con quella dei terremoti attuali (Monachesi, 1987); 1328, Alta Val Nerina (Monachesi, 1987); 1352 e 1389, Alta Val Tiberina (Castelli et al., 1996) è seguito, secondo i cataloghi, un periodo di attività più ridotta, con pochi terremoti distruttivi: 1458, Alta Val Tiberina (Castelli et al., 1996); 1599, Cascia (GNDT, 1994). Infine, anche i terremoti di Amatrice dell'ottobre 1639 (Monachesi e Castelli, 1992) possono appartenere alla zona sismogenetica 47 (Fig. 4).
Studi su questi terremoti si trovano anche in Boschi et al. (1995 & 1997).



Il periodo di attività sismica abbastanza modesta (completezza delle informazioni storiche permettendo) è stato interrotto bruscamente all'inizio del secolo XVIII dai grandi terremoti di Norcia e L'Aquila del 1703, ai quali ha fatto seguito un periodo di intensa attività sismica durato tutto il secolo XVIII (Fig. 5). Nell'arco di un secolo, oltre a una decina di eventi che hanno prodotto danni gravi (Imax compresa fra 7/8 e 8/9), si sono avuti otto eventi distruttivi (Imax => 8/9 MCS) i cui parametri principali, forniti dai cataloghi NT4.1 (Camassi e Stucchi, 1997) e CFTI (Boschi et al., 1997), sono i seguenti :

	anno      area epic.               Imax(NT)     Imax(CFTI)      Ms(NT)      Me(CFTI)
	1703      Norcia/L'Aquila          10           11              6.7         6.7
	1730      Norcia                   9            9               5.9         6.3
	1741      Fabrianese               9            9               6.2         6.2
	1747      Fiuminata/Gualdo T.      9            8/9             6.2         5.7
	1751      Gualdo Tadino            10           10              6.7         6.2
	1781      Cagliese                 10           10              6.7         6.1
	1789      Alta Val Tiberina        8/9          10              5.9         5.7
	1799      Camerino                 9            9/10            6.2         5.9

Studi su questi terremoti sono rintracciabili in Stucchi (1985), Pergalani et al. (1985) Monachesi (1987), Conversini et al. (1990), Postpischl, ed. (1990), Stucchi et al. (1991), Castelli et al. (1996), Boschi et al. (1995 & 1997).




Nei due secoli successivi (XIX e XX) l'attività sismica è stata elevata, senza tuttavia raggiungere i livelli del XVIII secolo, con alcuni terremoti distruttivi (Fig. 6): 1832, Foligno (Monachesi, 1987); 1859, Norcia (GNDT, 1994); 1917, Alta Val Tiberina (Castelli et al., 1996); 1979, Norcia/Cascia (Spadea et al., 1981), accompagnati da una decina di terremoti che hanno prodotto danni gravi. Studi su questi terremoti si trovano anche in Boschi et al. (1995 & 1997).



Elementi di tettonica attiva
Gli eventi chiave della sequenza settecentesca sono quelli che colpirono la zona fra Norcia e L'Aquila fra il gennaio e il febbraio del 1703 (Monachesi et al., 1987, Boschi et al., 1995). Procedendo da sud a nord, ci sono pochi dubbi che l'evento del 2 febbraio 1703 che colpì L'Aquila sia collegato all'attività della faglia localizzata sul bordo orientale del bacino valle dell'Aterno-L'Aquila. Questa struttura è evidenziata da due segmenti di faglia principali (Monte Marine e Monte Pettino, lunghi 8.5 km e 9.5 km rispettivamente), responsabili della dislocazione di depositi di versante tardo-pleistocenici e della formazione di evidenti scarpate nel substrato carbonatico. (Blumetti, 1995, Galadini et al., 1997).
L'evoluzione tettonica recente dell'area di Norcia è stata guidata dall'attività della faglia del bordo NE del bacino. Questa faglia primaria, lunga una quindicina di chilometri, è responsabile della dislocazione dei depositi alluvionali medio-pleistocenici (Blumetti et al., 1992). Per quanto riguarda il bacino di Cascia, in cui si e' originato verosimilmente il terremoto del 1599, questo è caratterizzato da una faglia normale NW-SE che borda il bacino a NE (Cello et al., 1997) lungo la quale Blumetti (1995) riporta l'occorrenza di effetti geologici legati al terremoto del 1703.
Infine, specifiche ricerche devono essere effettuate per spiegare da un punto di vista tettonico i terremoti che hanno colpito l'Alta Val Nerina nell'ultimo millennio (es. 1328).

Per l'area di Gualdo Tadino, colpita dal terremoto del 1751, alcuni dati geologici sono rintracciabili in una carta (non pubblicata) di Bosi et al. (1983), che riporta alcuni elementi geomorfologici (scarpate di faglia) che indicano come il bacino di Gualdo Tadino sia un'altra depressione intramontana tipica dell'Appennino Centrale, delimitato a est da una faglia quaternaria.
Specifiche ricerche devono essere effettuate al fine di caratterizzare la tettonica attiva dell'Alta Val Tiberina e del Cagliese in relazione soprattutto ai terremoti del 1389, 1781 e 1789.

Nella Fig. 7a sono riportate alcune faglie attive primarie dell'area in oggetto, compilate a partire da Blumetti (1995), Pizzi (1992), Cello et al. (1997), Galadini et al. (1997) e da dati non pubblicati di A. Basili, F. Galadini, P. Galli, P. Messina. Nella Fig. 7b le stesse faglie sono disegnate assieme ai dati sui terremoti di Fig. 2.





Andamento spazio-temporale della sismicità
La Fig. 8 presenta la distribuzione spazio-temporale dei terremoti più forti (Ms > 5.0) che appartengono alla fascia di catena (in blu ispessito nella figura più piccola); le distanze sono calcolate fra l'epicentro dei terremoti e il punto di osservazione indicato. Sono riconoscibili alcuni trend (in particolare nel XVIII secolo), che suggeriscono che il rilascio di energia connesso con ciascun evento può aver influenzato, secondo modalità ancora da capire a fondo, il rilascio di energia che ha determinato l'evento successivo (considerazioni di questo tipo per terremoti italiani si trovano ad esempio in Nostro et al., 1996).




Bibliografia

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