EC project "Review of Historical Seismicity in Europe" (RHISE) 1989-1993


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Patrizia Rivara * e Ezio Vaccari *
* Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea. Università di Genova, via Balbi 6, 16126 Genova, Italy.

Terremoto nizzardo del 1564: ricerche di
documentazione d'archivio sulla Liguria Occidentale


Introduzione
Nell'ambito degli studi sul terremoto del Nizzardo del 20 luglio 1564, le ricerche in territorio italiano si sono svolte, come già ricordato (Moroni and Stucchi, 1993) lungo due direzioni: l'indagine sugli effetti in area piemontese (Moroni, 1991) e in area ligure (Rivara e Vaccari, 1992). Sono qui esposti i risultati ottenuti dallo spoglio di fonti archivistiche e bibliografiche relative al Ponente ligure. Come già per l'area del Nizzardo e per quella piemontese, anche la ricerca su fonti liguri si è mossa dalla ricostruzione della struttura amministrativa civile ed ecclesiastica e dalla consistenza degli insediamenti abitativi dell'area. Sono qui esposti i risultati di questa indagine, un elenco dei principali fondi archivistici esaminati e, infine, sono analizzati in maggior dettaglio alcuni documenti relativi agli avvenimenti verificatisi nel 1564 a Ventimiglia e a La Piene.

La struttura politico-amministrativa della Repubblica di Genova nel XVI secolo
La storia della Repubblica di Genova nei secoli XV e XVI, è caratterizzata da discordie civili e da frequenti atti di sottomissione formale al Duca di Milano prima e alla corona di Francia in seguito, entrambi coinvolti nelle lotte cittadine dall'una o l'altra fazione nobiliare. La situazione muta radicalmente nel 1528, quando, alleandosi con Carlo V, la Repubblica genovese ottiene dall'imperatore garanzia di riconoscimento della piena indipendenza. Nell'ottobre dello stesso anno venne varato un nuovo assetto costituzionale che resterà valido fino al 1576. I principali organi di governo erano i seguenti: al vertice stava il Senato o Collegio dei Governatori, composto da 8 membri eletti dal Consiglio Maggiore (che duravano in carica per due anni e venivano rinnovati di un terzo ogni sei mesi) e presieduto da un Doge eletto per due anni. La Camera o Collegio dei Procuratori, composta da 8 membri biennali (ex senatori) oltre a tutti gli ex Dogi, nominati Procuratori Perpetui a vita, dirigeva essenzialmente le finanze dello Stato: inoltre aveva funzioni consultive e di controllo presso il Senato, la cura dei costumi e della vita dei cittadini, oltre ad una vasta giurisdizione in campo penale. Il Maggior Consiglio, che era composto da 400 membri eletti a sorte tra tutti i Nobili genovesi aveva invece funzioni legislative, nonché il diritto di elezione di Dogi e Governatori. Il Minor Consiglio, composto da 100 membri eletti a sorte tra tutti i membri del Maggior Consiglio aveva a sua volta funzioni legislative e l'incarico particolare di nominare i cinque Supremi Sindicatori a cui era affidato il controllo ed il giudizio sull'attività del Doge, dei Governatori e dei Procuratori. Ai tre Sindacatori Ordinari o Minori era invece affidato il controllo di tutti gli altri Magistrati della Repubblica. Il Magistrato degli Anziani (detto degli Straordinari dal 1530): il Magistrato degli Straordinari era composto da 7 membri in carica per sei mesi ed era interamente rinnovato a gennaio ed a luglio ogni anno. Tale magistratura si incaricava della giurisdizione straordinaria, originariamente di competenza senatoria, ma di eccessivo peso per le attività del Senato (proroga dei termini processuali; convalida di atti; designazione di giudici; nomina di curatori, fidecommissari, esecutori testamentari, ecc.).
La costituzione del 1528 non definiva invece in maniera altrettanto chiara la struttura amministrativa del dominio genovese di terraferma. L'espansione territoriale della Repubblica, forte e fortunata nelle lontane colonie d'oltremare, fu invece lenta e ridotta nelle regioni circostanti. A ponente non supererà mai i confini di Monaco (perduta definitivamente nel 1410), mentre a levante si fermerà definitivamente nel 1562 con l'acquisto di Sarzana dalle compere di San Giorgio. La situazione dei confini in Liguria occidentale nella seconda metà del Cinquecento è rappresentata in Fig. 1.
Nel Ponente ligure, in particolare, l'esistenza di una vita urbana articolata e intensa, oltre che di potenti e numerose formazioni feudali, ostacolò fortemente l'espansione e la stabilità del dominio genovese, osteggiato anche dalla politica territoriale dei Conti di Provenza e dei Savoia (Lamboglia, 1943; Rostan, 1971). Questi ultimi inizieranno proprio nel XVI secolo una politica espansionistica che li condurrà all'annessione del Marchesato di Dolceacqua nel 1524, quindi all'acquisto della Signoria di Tenda tra il 1575 e il 1581 e del Principato di Oneglia nel 1576 (Fig. 1), nonché a proseguire nel corso del secolo frequenti scaramucce di confine nei territori nord-occidentali della Repubblica genovese (Grillo, 1965; Rostan, 1971).
Solo sul finire del XVI secolo la supremazia genovese sulla terraferma potè consolidarsi ed assumere i caratteri di un vero dominio, pur sempre limitato, però, dalla concessione di privilegi e larghe autonomie feudali e comunali (Costantini, 1986). Con le "leggi nuove" del 1576 si delineò la complessa mappa politico-amministrativa della repubblica e furono organizzati gli uffici del dominio di terraferma e della Corsica. Prima di tale data i principali giusdicenti locali erano inviati o comunque designati dagli organi centrali (più raramente eletti in loco) e facevano riferimento direttamente al Senato.



Fig. 1 - Confini politici, centri amministrativi e principali insediamenti in Liguria nel XVI secolo.


I primi erano commissari con incarico temporaneo; i secondi erano Podestà, a capo di Podesterie, e Capitani, a capo di Capitaniati e Castellanie, che a differenza dei Podestà avevano potere militare (Lamboglia, 1943; Forcheri, 1968; Felloni, 1972; Calcagno, 1983). Nella prima metà del XVI secolo il Capitano e il Podestà rivestivano in molti casi anche la carica di Vicario, figura giuridica resasi autonoma dopo il 1576, alla quale era essenzialmente affidata l'amministrazione della giustizia civile. Altre funzioni di competenza di Podestà e Capitani erano l'amministrazione della giustizia criminale; l'esecuzione in loco degli ordini giunti dal Governo centrale; sovrintendenza al mantenimento delle strade a carico dei singoli cittadini (come prestazione obbligatoria o dietro esborso di una somma in denaro); riscossione delle imposte; salvaguardia delle opere di difesa. Sottoposti a Podestà e Capitani (a cui potevano sostituirsi in caso di una loro temporanea assenza) vi erano altri organismi legati alle comunità rurali o a quelle dei borghi principali. Ad esempio nella Riviera di Ponente: i Deputati del Castello di Diano ed i Consiglieri di Diano, i Sindici di Consiglio e Parlamento di Ventimiglia, i Consiglieri della Pietra, gli Anziani di Savona, gli Anziani di Taggia, i Sindaci della ripa di Taggia, il Consiglio e Parlamento di San Remo (ASGe, 1564-66, 1562-64). Tali organismi erano interlocutori non solo delle magistrature periferiche ma anche dell'amministrazione centrale, alla quale potevano rivolgersi direttamente con suppliche e richieste. Più che specifiche competenze giuridiche, sembra che tali organismi svolgessero incarichi di coordinamento e di intermediazione fra il territorio e gli organi centrali. Tuttavia il loro ruolo nel governo del dominio non è ancora stato sufficientemente chiarito dalla storiografia.

La struttura ecclesiastica
L'area ligure interessata dal terremoto del 20 luglio 1564 ricadeva sotto la giurisdizione della nunziatura di Genova ed era suddivisa in due diocesi: quella di Ventimiglia e quella di Albenga. Le indagini si sono indirizzate sia verso la documentazione conservata presso l'archivio Vaticano (Castelli, 1993), sia verso l'archivio della diocesi di Ventimiglia. Il Vescovo di Ventimiglia dal 1562 al 1565 fu Carlo Visconti, milanese che partecipò al Concilio di Trento e fu uno dei primi vescovi ad istituire un seminario nella propria diocesi nel 1564. Gli succedette, per pochi mesi nel 1565, Benedetto Lomellino.

Territorio ed insediamenti in Liguria occidentale nel XVI secolo
La situazione degli studi storici e geografici sulla Liguria occidentale nel XVI secolo si presenta ancora disarticolata e certamente non in grado di fornire una visione completa delle complesse problematiche inerenti alla demografia ed alla divisione giuridico-amministrativa dell'area (Galassi et al., 1979; Quaini, 1981, 1986).
Durante la ricerca si è quindi tentato di recuperare il maggior numero possibile di informazioni sparse nelle fonti a stampa relative a storia locale e storia della cartografia, integrandole o confermandole successivamente con le indicazioni via via emerse dalla ricerca in archivio. Una ricerca approfondita in diversi archivi della regione, tesa esclusivamente a questo fine e con tempi piuttosto lunghi a disposizione, potrebbe forse fornire un quadro più dettagliato, ma al tempo stesso potrebbe rischiare di rivelarsi ampiamente insoddisfacente. Non sembra infatti esistere nel Cinquecento un'esigenza vera e propria di accurata classificazione del territorio da parte del Governo centrale. Una situazione che pare protrarsi almeno fino alla seconda metà del Settecento, quando con l'opera di Matteo Vinzoni (1773) si assisterà ad una indicizzazione degli insediamenti del territorio della Repubblica, affiancata da un vasto lavoro cartografico, poi ripresa da tutti i lavori storici sull'argomento (Felloni, 1972).
Nel caso della Fig. 1, che compendia i risultati della ricerca sulla suddivisione amministrativa del territorio in un area determinata, compresa tra Ventimiglia e Taggia, i dati demografici sono stati ricavati dalla Descrittione della Lyguria di Agostino Giustiniani (posta a premessa di Giustiniani, 1537). Questo testo si è rivelato indispensabile anche per l'individuazione dei toponimi e delle divisioni giuridico-amministrative dell'area studiata in un periodo abbastanza prossimo al 1564.
La comparazione di fonti cinquecentesche con fonti posteriori ci fa comunque ritenere che nel caso delle unità amministrative locali, i territori ed i borghi assoggettati alle varie Podesterie, Castellanie o Capitaniati non siano mutati in modo rilevante tra Cinquecento e Settecento, sebbene le controversie "di confine" tra le diverse comunità costituissero un elemento costante, sia pur relativo a minime parti del territorio.
L'organizzazione del Dominio di Terraferma si compì nel corso di un processo pluridecennale. Il controllo del Territorio da parte di giusdicenti inviati dalla capitale, esercitato dapprima in forma discontinua e commissariale, venne sistematizzato e regolarizzato solo per gradi. Nel 1564 l'amministrazione del territorio in ambito civile e penale è affidata a Podestà e Capitani, che comunicavano direttamente con il Senato per via epistolare (ASGe, 1545-97, 1560-63, 1564-66, 1570-71, 1562-63, 1562-64, 1564a, 1565-66). Questa documentazione ufficiale, confluita in sede archivistica nelle varie serie della corrispondenza del Senato, ha costituito la base della presente ricerca.
L'estremità occidentale del territorio della Repubblica di Genova si divideva nel 1564 in sei circoscrizioni amministrative: la castellania di La Piene o Penna (oggi Piena), il capitanato di Ventimiglia e le Podesterie di San Remo, Ceriana, Taggia e Triora (Fig. 1).
Le prime due unità territoriali, dotate entrambe di fortezze con guarnigione militare permanente e governate da due Capitani, non a caso occupavano le zone di confine con il principato di Monaco e soprattutto con i dominii dei Savoia, tra i quali va considerato anche il marchesato di Dolceacqua, feudo della famiglia Doria, ma assoggettatosi alla casata piemontese con offerta di vassallaggio del 1 luglio 1524 (Rossi, 1862, 1903; Rostan, 1971). Nel 1564 il Marchesato, che comprendeva anche i borghi di Perinaldo ed Isolabona, era governato da Stefano Doria, Colonnello e Governatore di Nizza. Questi aveva un'attiva corrispondenza con la Repubblica di Genova, sia da Nizza che dal suo Dominio di Dolceacqua (Vitale, 1937).

Il castello della Penna (o La Piene), posto alla sommità di un monte e da cui tutta la giurisdizione prendeva nome, era governato nel 1564 dal Capitano Lorenzo Usodimari e disponeva di una guarnigione piuttosto scarsa (un luogotenente e quattro soldati). Questo castello non doveva essere particolarmente munito e di robusta costruzione, ma occupava una posizione decisamente strategica e difficilmente espugnabile. Diversa la situazione di Ventimiglia, dove il forte di S. Paolo (nella valle del Roja a nord dell'abitato) ed il Castelvecchio (posto alla sommità del borgo) garantivano una buona difesa e disponevano di una guarnigione adeguata. Ventimiglia era governata nel 1564 dal Capitano Niccolò de Franchi, che risiedeva nel Castelvecchio e ne comandava la guarnigione (Rossi, 1888; Cais de Pierlas, 1890; Rossi, 1899; Rostan, 1971). Lo strategico avamposto della Penna si ricollegava quindi verso sud ad una ideale linea difensiva con il forte di San Paolo e con il Castelvecchio.
Le Podesterie di Sanremo, Ceriana, Taggia e Triora erano rette da Podestà con poteri amministrativi e penali, di solito nominati direttamente da Genova (Rossi, 1867; Ferraironi, 1953; Grillo, 1965; Borea, XVII-XIX; Boeri, 1986). Il feudo monastico di Seborga, posto tra Ventimiglia e Sanremo era il dominio più cospicuo dell'Abbazia provenzale benedettina di Lerin (o S. Onorato) in Liguria Occidentale (Cais de Pierlas, 1884; Lamboglia, 1966).
I giusdicenti locali seguivano nei rapporti con il Governo centrale la procedura usuale a tutte le altre magistrature periferiche: inviavano direttamente al Senato missive riguardanti richieste, suppliche, informazioni di carattere politico, amministrativo e penale, aggiornamenti di vario genere. Non esistevano quindi figure intermedie, a meno che il Senato non decidesse di servirsi di incaricati da inviare personalmente in loco per verificare l'entità di problemi esposti, dirimere questioni gravi o a lungo irrisolte, controllare l'operato degli stessi giusdicenti locali.

La ricerca in archivio
Sulla base delle informazioni raccolte sul sistema politico-istituzionale della Repubblica nel secolo XVI, la ricerca è iniziata con una analisi dei fondi conservati nell'Archivio di Stato di Genova. Successivamente si è passati all'esame del materiale archivistico conservato a Imperia, Sanremo e Ventimiglia, dove sono confluite anche le sezioni storiche degli archivi comunali di alcuni centri limitrofi (Berio e Malandra, 1983; Pastorino Silengo et al., 1983). La scelta di queste archivi è stata dettata da ovvie considerazioni di carattere geografico, essendo queste le sedi di Archivi o Sezioni di Archivi di Stato comprese nell'area interessata dalla nostra ricerca, ma anche dalle informazioni raccolte durante lo studio della suddivisione giuridico-amministrativa del territorio. Inoltre è stato visitato l'archivio Vescovile di Ventimiglia. La ricerca non si è limitata ai documenti datati 1564, ma ha anche compreso le carte relative al quadriennio 1562-66, considerando l'ipotesi di un possibile errore di datazione del terremoto.
L'Archivio di Stato di Genova si è rivelato la sede di ricerca più fruttuosa:
esso raccoglie, infatti, la documentazione relativa alle magistrature centrali della Repubblica che comprende anche il carteggio con giusdicenti ed organi locali. Gli altri archivi visitati sono sostanzialmente lacunosi e meno ricchi per quanto riguarda la documentazione cinquecentesca.

Nell'Archivio di Stato di Genova, la ricerca si è incentrata sui fondi cinquecenteschi custoditi nei depositi "Archivio Segreto" e "Fondo Senato" (conservato come "Sala Senarega"): in entrambi è infatti conservata, soprattutto a partire dal 1528, la documentazione attinente all'attività del Senato, la suprema carica governativa. Tale scelta è stata determinata dal fatto che, come si è visto in precedenza, i rapporti tra il potere centrale e gli amministratori del territorio nel periodo qui preso in esame, erano diretti e privi di elementi intermediari. Una particolare attenzione è stata quindi dedicata alla corrispondenza ricevuta dal Senato (proveniente soprattutto da giusdicenti locali), ma anche alle disposizioni inviate dal Senato a Ministri, Podestà e Commissari, raccolte parte nel deposito "Archivio Segreto" (fondi: Litterarum e Instructiones et Relationes) e parte in quello "Sala Senarega" (fondi: Litterarum; Copialettere del Senato; Lettere al Senato e dal Senato ai Podestà). Anche altre carte relative al Senato potevano potenzialmente contenere riferimenti ad avvenimenti verificatisi nel territorio: è il caso degli Atti (dove sono state reperite ulteriori comunicazioni epistolari di giusdicenti locali o di singoli individui al Senato), dei decreti, delle "gride" e di altri fondi miscellanei riordinati nell'Ottocento (nel deposito "Archivio Segreto", i fondi: Decretorum Manualia; Secretorum; Gride e Proclami; nel deposito "Sala Senarega", i fondi: Diversorum Collegii; Atti del Senato).
Una seconda direzione di ricerca ha invece utilizzato tutti i fondi relativi agli insediamenti nel territorio della Repubblica ("Archivio Segreto", Diversorum; Buste Paesi - fondi miscellanei di ordinamento ottocentesco) ed alle loro controversie di confine ("Archivio Segreto", Giunta dei confini): queste ultime sono essenzialmente suppliche inviate direttamente al Senato da comunità e singoli individui.
Nell'Archivio di Stato di Imperia è stata esaminata la corrispondenza e gli atti giudiziari pubblici e privati del Podestà di Porto Maurizio (ASIm, 1511-1701, 1543-1573, 1563-1564a, 1557-1596, 1459-1601), nonché altri fondi miscellanei e spesso disomogenei, contenenti prevalentemente atti notarili, atti giudiziari e suppliche (ASIm, 1534-1659, 1371-1699, 1563-1564b, 1547-1564).
La situazione dei fondi conservati nella Sezione di Archivio di Stato di San Remo, sebbene sia stata rintracciata la corrispondenza inviata ai giusdicenti locali dal governo centrale, è apparsa sostanzialmente priva di un ordinamento delle carte risalente all'epoca interessata dalla ricerca, anche a causa delle vicissitudini storiche subite dalla documentazione oggi conservata in questo archivio. E' stato invece possibile effettuare una ricognizione mirata sulle carte relative ad un centro minore, Bussana, dove sono stati reperiti, tra l'altro, i verbali delle riunioni della Curia dei consoli locali (ASSSR, 1559-1568).

Nel caso della sezione di Archivio di Stato di Ventimiglia, invece, non è stato rintracciato alcun fondo contenente la corrispondenza del Capitano o di altri organi locali: poche indicazioni sono giunte da alcune serie di carattere finanziario (ASSVmg, 1558-1577, 1559-1574) e da una cospicua raccolta di atti pubblici e privati in materia giudiziaria ed amministrativa (ASSVmg, 1561-1568, 1563-1566a, 1563-1566b).
Le ricerche condotte sulle fonti ecclesiastiche non hanno fornito risultati positivi (Castelli, 1993). In particolare l'Archivio della Curia Vescovile di Ventimiglia si è rivelato scarsamente provvisto di materiale documentario relativo al XVI secolo. Dal momento che le visite pastorali sul territorio iniziarono solamente nel Seicento, le informazioni sul territorio della Diocesi si limitano ai registri dei matrimoni celebrati e dei battesimi (AVVmg, 1500-1613, 1544-1779, 1551-1613). Mancano invece i registri dei defunti, che avrebbero potuto rivelarsi assai utili per il controllo dei decessi nel periodo del terremoto, ed informazioni relative allo stato degli edifici religiosi nel Cinquecento. A questo proposito, Lamboglia (1959), riprendendo Rossi (1888) ricorda che la Chiesa di S. Michele a Ventimiglia crollò parzialmente in seguito al terremoto del 1564: ma in entrambi i testi non vengono citate le fonti utilizzate.

I documenti
Come già accennato in precedenza, le informazioni più interessanti provengono dai documenti reperiti nell'Archivio di Stato di Genova, in particolare dalla corrispondenza del Senato conservata nei fondi Archivio Segreto e Fondo Senato. Grazie a queste fonti possiamo identificare alcuni casi relativi ad eventi catastrofici naturali, avvenuti nell'area compresa tra Ventimiglia e La Penna nel corso del 1564 (Fig. 2).

Ventimiglia ed i fatti della primavera 1564

Alcune carte conservate in ASGe (1564-66), confermano infatti un evento disastroso avvenuto a Ventimiglia tra febbraio e marzo 1564, seguito da varie inondazioni del Roja, che abbattè il ponte di legno e deviò sensibilmente il proprio corso.
Il Capitano della Piene, Lorenzo Usodimari, in una lettera datata 18 marzo 1564, chiedeva infatti al Senato una licenza per poter andare a Ventimiglia al capezzale della sorella in fin di vita (non ne veniva indicato il motivo). Il Capitano scriveva anche di essere stato informato del "successo seguito" a Ventimiglia, dove avrebbe ora dovuto recarsi anche "per conto di miei beni che in parte erano nel loco ruinato, tutto che circa essi hanno poco danno secondo mi vien detto" (ASGe, 1564-1566). Non è agevole interpretare se il "successo seguito" si riferisse ad un unico evento (un'inondazione che ha anche rovinato un intero quartiere di Ventimiglia) o a più fenomeni successivi di diversa natura.




Fig. 2 - Lettere scritte da le localita' del Ponente Ligure al Senato della Repubblica di Genova nel corso del 1564.


Circa un mese dopo, l'11 aprile, il Capitano di Ventimiglia, Niccolò de Franchi, ricordava ai Governatori che "l'altro giorno denotaj a Vs. Ill.me la ruina qui seguita d'alquante case che furono abissate le quale hano occupato tre strade di sorte che la porta del Ponte con dificultà se gli pur più passare et non ostante questo per le grand'innondationi d'acque seguite da' temp'in qua la fiumara s'è discostata dalla muraglia della terra. la quale restava in fortezza hora s'è allargata di sorte che ne ... detta muraglia resta in fortezza, ma anco detta fiumara irradica il più delle volte e porta via il ponte, et già da parechi giorni in qua per tre volte l'ha portato via" (ASGe, 1564-1566).
La relazione precedente, a cui De Franchi fa cenno all'inizio, non è stata purtroppo rintracciata ed avrebbe potuto rivelarsi di grande utilità. In ogni caso, dalle parole usate dal Capitano, gli eventi susseguitisi sembrerebbero essere diversi.
A questo punto è importante ricordare che in fonti narrative recenti (Amalberti de Vincenti, 1988; Calvini, 1987; Abbo et al., 1987, che a sua volta cita Jervis, 1887) si affianca al terremoto del 20 luglio 1564 anche un precedente terremoto, definito disastroso, verificatosi nel marzo dello stesso anno nella stessa area ligure-nizzarda (Abbo et al., 1987 ne riporta anche la data: il 15 marzo).
Poco dopo aver spedito la propria relazione, il 25 aprile De Franchi scriveva ancora al Senato per avvisare che "è stato qui li Magnifici sue Nicolò Grillo et Stephano de Franchi Commissarij, et revisto le doe fortezze parimente le ruine seguite et il Ponte et, a tutto hanno lasciato provisione. Mi resta che quanto prima si faccia metter a essecuttione in compagnia delli Sindici della terra, se gli rifarà ogni deligenza che quanto prima si faci l'effetto, et di tutto le Signorie Vostre Ill.me ne saran avisate. I quali Magnifici Commissari son partiti di qui questa mattina per il porto" (ASGe, 1564-1566).
Stefano de Franchi e Niccolò Grillo erano due commissari inviati da Genova in missione in diversi centri del Ponente per dirimere varie questioni amministrativo-penali e per controllare la situazione del territorio: la loro presenza in Liguria Occidentale fin dall'inizio del 1564 è segnalata da una loro lettera spedita in data 25 febbraio da Diano al Senato e contenente informazioni sulla situazione locale. Quest'ultima lettera è conservata in ASGe (1564b): altre lettere conservate qui e nel fondo Litterarum dell'Archivio Segreto confermano la presenza dei due commissari a San Remo in marzo e ad Albenga in marzo e nel maggio 1564, ma nel fondo "Atti Senato" non esistono cenni all'evento disastroso avvenuto a Ventimiglia in febbraio-marzo.

Ritornando all'esame dei documenti, si registra che il 28 di aprile i due commissari de Franchi e Grillo spedirono una lettera da Albenga informando che la grande entità dei danni descritti dal Capitano di Ventimiglia al Senato "fu in parto specie di chimera" (ASGe, 1564-1566). I due commissari avevano infatti verificato la possibilità di "far voltar l'acqua nel letto antiquo presso la muraglia senza spesa alcuna della Camera". Le fortezze erano state quindi ispezionate ed erano stati individuati vari interventi da compiere, in particolare al forte di S. Paolo. I commissari si riservavano comunque di riferire direttamente a voce ai Governatori, una volta ritornati a Genova. La missione dei due commissari è documentata anche da una lettera inviata al Senato dai Deputati del Castello di Diano (il 14 giugno), dove si faceva cenno alla necessità, confermata da Grillo e De Franchi, di riparare la locale fortezza: ma non risulta chiaro se la situazione di degrado fosse dovuta a normale usura o ad una causa catastrofica improvvisa.
La presenza di Grillo e De Franchi a Ventimiglia nel 1564 è ricordata anche da Rossi (1888), in una pagina importante che utilizza un "Libro delle convenzioni e dei privilegi (p. 130)" del quale però non viene citata la provenienza. Rossi fu poi ripreso da autori successivi (Baratta, 1901; Berry e Berry, 1963; Rostan, 1971), ma la fonte da lui citata non è conservata negli Archivi di Stato di Genova, Imperia, Sanremo e Ventimiglia.

La relazione dei commissari Grillo e De Franchi al Senato era riportata da Rossi come segue:
"Essendo venuti essi nel luogo dove sono seguite le royne delle case, et strade da esse impedite, avendo visto il disviamento del fiume, qual prima correva presso le muraglie della città ed adesso essersi disviato, et anco vista la royna del ponte di legno portato via da esso fiume, sopra il che avendo fatto congregare tutto il Parlamento, et sopra le proposte fatteli, intesi li pareri loro, massime sopra il dispacchiar delle strade e la refattione di esse: hanno ordinato et per la presente ordinano in magistrato li egregi Gioan Aprosio q. Roberto, Marco Lungo, Battista Balauco et Gioseph D'Oria olim de Judicibus, sindici in la presente città per tutto il tempo del loro ufficio et a loro successori, d'anno in anno respectivamente, fino che in contrario sia ordinato per la Signoria illustrissima con baylia et facoltà che possino rivedere le predette royne di case et strade ponti et altre cose, che minacciassero royne, et quelle far racconciare, dispacchiare, assicurare rinnovare et finalmente provedere de tutti quelli remedi che giudicheranno essere necessari al bene essere et policia della presente città et fortezza di quella ..." (Rossi, 1888, pp. 200-201).

Nel commentare questo testo Rossi non indica un terremoto quale possibile causa delle rovine, nè accenna al mese in cui fu scritta questa relazione. Nonostante queste lacune, Rostan ipotizzerà più tardi un legame tra la "ruina" descritta dai due commissari ed il terremoto del 20 luglio 1564, pur senza l'apporto di ulteriori fonti documentate (Rostan, 1971). Al di là di queste interpretazioni della storiografia locale, sta di fatto che la descrizione riprodotta da Rossi si allinea perfettamente con le succitate testimonianze coeve di De Franchi ed Usodimari.
Il 27 aprile 1564 anche il Vicario del Vescovo di Ventimiglia, il canonico senese Francesco Maccabruni, aveva inviato una lettera ai Governatori, ma senza riportare alcun cenno ad un terremoto o evento disastroso verificatosi nei mesi precedenti (ASGe, 1564-1566). Analogamente, in una successiva lettera del 24 maggio, lo stesso Vicario parlava solo di alcuni "negocii". Il 3 maggio però il Capitano De Franchi ritornava sull'argomento, nel mezzo di una missiva dedicata a questioni penali, ricordando al Senato che "circa il despacchiar delle strade delle ruine successe, far far il Ponte della fiumara", all'epoca ancora mancante, era una necessità impellente soprattutto per la sicurezza dei viandanti. E' da notare, inoltre, che i Sindaci di Consiglio e Parlamento di Ventimiglia mandarono ai Governatori un inviato (latore di un biglietto di presentazione datato 1 maggio) di cui però non si conosce il motivo della missione, ancora non indicato in un breve missiva del 28 maggio sul medesimo argomento (ASGe, 1564-1566).
Il 29 maggio il Capitano De Franchi esordiva rispondendo alla lettera del Senato del 23 maggio con l'affermazione che "havesi con ogi mia possibile dato ordine che la fiumara si accostasse alla muraglia. E non vi è forma alcuna salvo se da lei venisse tanto grossa che tornasse altro letto antiqueo com'era prima e de tempo in tempo è solita a levarsi e tornarvi. Si va appresso far dispachiar le strade con ogni prestezza possibile e così il ponte, il quale hoggi, a Dio piacendo, sarà fornito, e per me non si mancha di ogni solicitudine" (ASGe, 1564-1566).

L'estate e l'autunno 1564 nel Ponente ligure

Per quanto concerne l'arco temporale più prossimo alla data del 20 luglio 1564, ricordiamo che i documenti conservati in ASGe (1562-64) hanno fornito risultati poco soddisfacenti: una lettera del 20 luglio 1564 da Triora, inviata al Senato dal Podestà locale, Francesco Pinello, tratta esclusivamente di questioni amministrative; quindi, il 21 luglio, tre lettere da Porto Maurizio, Alassio e Savona (inviate rispettivamente da due Podestà e dal Vicario) informavano solo di problemi consueti riguardanti casi di giustizia locale.
In ASGe (1564b) si è rivelata interessante una lettera inviata da La Piene in data 16 ottobre, ma riguardante un reato commesso nella stessa località il 20 luglio 1564. Nella lettera si racconta il fatto: si tratta di una truffa perpetrata ai danni di un vecchio, Stefano Martino de Mucio, il quale il giorno 20 luglio si era recato in casa del medico di La Piene dove aveva barattato con questi alcuni suoi beni in cambio di alcune case di proprietà del medico. Dopo sette giorni, però, il 27 luglio, il medico aveva venduto le case senza restituire al vecchio i beni barattati. Nella lettera si chiedeva quindi l'intervento del Senato, affinché fosse restituito al vecchio il dovuto. Nonostante il fatto narrato fosse avvenuto proprio il giorno del presunto terremoto in un luogo che dovrebbe rientrare nell'area di danno, nella lettera non sono menzionati terremoti o altre calamità naturali.
Proseguendo nell'esame delle lettere conservate in ASGe (1562-1564), in una lettera del 22 luglio 1564, il Podestà di Sanremo chiedeva al Senato il permesso di trasferirsi a Genova, motivando genericamente la richiesta con ragioni di salute, senza fornire ulteriori informazioni sulle cause del suo stato di infermità. Le lettere successive, inviate da vari giusdicenti locali al Senato sino alla fine dell'anno non forniscono quindi alcuna indicazione, nemmeno su eventuali danni da riparare o su altre catastrofi naturali, con l'eccezione di quattro lettere inviate al Senato dal Capitano della Piene, Lorenzo Usodimari tra settembre e dicembre 1564 (ASGe, 1562-1564).
Nell'ordine: il 29 settembre 1564 il Capitano chiedeva urgentemente fondi per riparare il tetto del castello, nonché quattro pastrani per vestire i quattro soldati "che sono stracciati" ed ormai impossibilitati a sostenere i turni di guardia; il 3 ottobre, il Capitano richiedeva nuovamente aiuti al Senato in quanto "Li Consoli e Conseglio di questo luoco, e ville superiori mi hanno richiesto che... dessi ragguaglio d'alchuni rouine nouamente successe in detto luoco per la insolita innundationi de l'acque". Inoltre parte della muraglia del castello era stata danneggiata dalle medesime inondazioni e veniva giudicata pericolante. Anche la stabilità di vari ponti era divenuta inaffidabile e rischiosa. Il 4 ottobre, sempre più preoccupato e dalla gravità del momento, il Capitano insisteva sull'entità dei danni subiti dai locali in seguito alle "innondationi".
La situazione non sembrava essere tornata alla normalità nemmeno pochi mesi dopo, poiché Usodimari, scrivendo al Senato il 14 dicembre lo informava che:

"scrissi i giorni passati a Vs. Ill.me esser ruinato un pezzo della muraglia di questo luogo verso il fiume per la pioggia che all'hora vene grandissima la quale non solamente ruinò esso pezzo di muraglia, ma fece ... altri danni assai. Hora per altra pioggia venuta al principio di questo mese n'è ruinato un'altro pezzo e n'ha fatto assai altri danni".
I danni di una di queste alluvioni avvenute a La Piene sono descritti anche in una lettera non datata (inserita fra un gruppo di missive tutte datate al mese di settembre 1564), conservata in ASGe (1564b). Qui la comunità di La Piene chiedeva al Senato che le fosse concesso un terzo delle "condanne" per favorire la ripresa economica della popolazione dopo "la rovina di aque seguita li giorni passati in quel paese [La Piene]". Vi erano inoltre menzionati "notabili et intolerabili danni" ai mulini ad acqua, ai frantoi ed al raccolto.
Da queste informazioni appare evidente come fosse piuttosto frequente il verificarsi di un'alluvione disastrosa, sia nella scoscesa ed impervia località della Piene, sia presso la foce del Roja. Tuttavia, se può sussistere qualche dubbio sulla vera origine dell'evento accaduto nel febbraio-marzo del 1564 a Ventimiglia, nel secondo caso (relativo al periodo settembre-dicembre 1564 a La Penna) la causa dell'evento disastroso risulta ampiamente individuata.

Considerazioni sulle informazioni raccolte
E' significativo notare che, in presenza di una documentazione coeva pervenutaci con sufficiente completezza (come nel secondo caso sopracitato), l'evento disastroso ed i problemi relativi ai danni ed alle riparazioni, nonché le pressanti richieste di aiuti materiali fossero sempre segnalati con tempestività direttamente al Senato da parte del giusdicente locale. Non si può quindi pensare che nel caso di un evento sismico di rilievo non si verificasse la medesima situazione.
Tuttavia, la parola "terremoto" non viene mai riportata nei documenti d'archivio reperiti. La documentazione esaminata non ha infatti fornito risultati che suffragassero una conferma definitiva del terremoto del 20 luglio 1564 in area ligure-occidentale. Manca ancora, quindi, una testimonianza coeva all'evento stesso.
Tra le carte non di tipo epistolare esaminate nel corso della presente ricerca può essere comunque opportuno segnalare il caso di un "vuoto" di documenti che potrebbe far riflettere, poiché posto esattamente in corrispondenza del periodo di luglio 1564. Nel Libro di avarie (ASSVmg, 1559-1574), i pagamenti di queste tasse venivano infatti regolarmente registrati dal Capitano di Ventimiglia almeno due volte al mese. Tuttavia si è notato che, nonostante tutto il 1564 sia stato regolarmente registrato mese per mese, manca qualsiasi registrazione di pagamenti dal 12 luglio al 29 agosto. L'informazione è preziosa perché il registro, diversamente dalla filza ed in assenza di pagine strappate, costituisce una fonte di informazione seriale incorrotta: in questo caso, inoltre, il passaggio di registrazioni dal 12 luglio al 29 agosto si trova a metà della c. 104r (ASSVmg, 1559-1574).

Si tratta quindi della pausa più lunga di tutto l'anno (oltre un mese) e le motivazioni potrebbero essere molteplici, tra cui anche quella di sospendere la riscossione di tasse e gabelle a causa di un evento calamitoso che ha prostrato l'intera comunità (Fig. 3).




Fig. 3 - Data e numero dei pagamenti versati da Ventimiglia a Genova.


Direzioni e prospettive per un'estensione della ricerca
I risultati emersi dal presente lavoro non devono considerarsi definitivi. L'esame di ulteriori fondi conservati negli archivi di Stato esaminati fino ad oggi potrebbero infatti fornire nuove direzioni di ricerca.
Una prospettiva del tutto nuova, anche se ancor più capillare e quindi inevitabilmente non esauribile in tempi brevi, è rappresentata dall'estensione della ricerca alle fonti documentarie conservate negli archivi comunali e parrocchiali compresi soprattutto nell'attuale provincia di Imperia e che conservino documentazione relativa al XVI secolo. Tra questi si segnalano gli archivi comunali di Porto Maurizio, Sanremo, Ventimiglia, Savona, Albenga, Taggia.
Oltre agli archivi parrocchiali della Diocesi di Ventimiglia, potrebbe infine rivelarsi utile anche il reperimento di eventuali fondi concernenti i vari monasteri siti in questa diocesi, tra i quali va ricordato soprattutto il Priorato di S. Michele in Ventimiglia (proprietà dei monaci Benedettini), che possedeva cospicui beni, case e poderi a Ventimiglia e dintorni (Cais de Pierlais, 1884).
Le difficoltà incontrate nel corso di questa ricerca e che ancora si prospettano per il futuro dimostrano quindi la problematicità di ricostruire un "fatto" storico, del quale possiamo solo ricuperare le tracce, spesso limitate da fattori casuali.

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