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I primi erano commissari con incarico temporaneo; i secondi
erano Podestà, a capo di Podesterie, e Capitani, a capo di
Capitaniati e Castellanie, che a differenza dei Podestà avevano
potere militare (Lamboglia, 1943; Forcheri, 1968; Felloni, 1972; Calcagno,
1983). Nella prima metà del XVI secolo il Capitano e il Podestà
rivestivano in molti casi anche la carica di Vicario, figura giuridica resasi
autonoma dopo il 1576, alla quale era essenzialmente affidata l'amministrazione
della giustizia civile. Altre funzioni di competenza di Podestà e
Capitani erano l'amministrazione della giustizia criminale; l'esecuzione
in loco degli ordini giunti dal Governo centrale; sovrintendenza al mantenimento
delle strade a carico dei singoli cittadini (come prestazione obbligatoria
o dietro esborso di una somma in denaro); riscossione delle imposte; salvaguardia
delle opere di difesa. Sottoposti a Podestà e Capitani (a cui potevano
sostituirsi in caso di una loro temporanea assenza) vi erano altri organismi
legati alle comunità rurali o a quelle dei borghi principali. Ad esempio
nella Riviera di Ponente: i Deputati del Castello di Diano ed i Consiglieri
di Diano, i Sindici di Consiglio e Parlamento di Ventimiglia, i Consiglieri
della Pietra, gli Anziani di Savona, gli Anziani di Taggia, i Sindaci della
ripa di Taggia, il Consiglio e Parlamento di San Remo (ASGe, 1564-66, 1562-64).
Tali organismi erano interlocutori non solo delle magistrature periferiche
ma anche dell'amministrazione centrale, alla quale potevano rivolgersi
direttamente con suppliche e richieste. Più che specifiche competenze
giuridiche, sembra che tali organismi svolgessero incarichi di coordinamento
e di intermediazione fra il territorio e gli organi centrali. Tuttavia il
loro ruolo nel governo del dominio non è ancora stato sufficientemente
chiarito dalla storiografia.
La struttura ecclesiastica
L'area ligure interessata dal terremoto
del 20 luglio 1564 ricadeva sotto la giurisdizione della nunziatura di Genova
ed era suddivisa in due diocesi: quella di Ventimiglia e quella di Albenga.
Le indagini si sono indirizzate sia verso la documentazione conservata presso
l'archivio Vaticano (Castelli, 1993), sia verso l'archivio della diocesi
di Ventimiglia. Il Vescovo di Ventimiglia dal 1562 al 1565 fu Carlo Visconti,
milanese che partecipò al Concilio di Trento e fu uno dei primi vescovi
ad istituire un seminario nella propria diocesi nel 1564. Gli succedette,
per pochi mesi nel 1565, Benedetto Lomellino.
Territorio ed insediamenti in Liguria occidentale nel XVI secolo
La situazione degli studi storici e geografici sulla Liguria
occidentale nel XVI secolo si presenta ancora disarticolata e certamente
non in grado di fornire una visione completa delle complesse problematiche
inerenti alla demografia ed alla divisione giuridico-amministrativa dell'area
(Galassi et al., 1979; Quaini, 1981, 1986).
Durante la ricerca si è quindi
tentato di recuperare il maggior numero possibile di informazioni sparse
nelle fonti a stampa relative a storia locale e storia della cartografia,
integrandole o confermandole successivamente con le indicazioni via via emerse
dalla ricerca in archivio. Una ricerca approfondita in diversi archivi della
regione, tesa esclusivamente a questo fine e con tempi piuttosto lunghi a
disposizione, potrebbe forse fornire un quadro più dettagliato, ma
al tempo stesso potrebbe rischiare di rivelarsi ampiamente insoddisfacente.
Non sembra infatti esistere nel Cinquecento un'esigenza vera e propria di
accurata classificazione del territorio da parte del Governo centrale. Una
situazione che pare protrarsi almeno fino alla seconda metà del
Settecento, quando con l'opera di Matteo Vinzoni (1773) si assisterà
ad una indicizzazione degli insediamenti del territorio della Repubblica,
affiancata da un vasto lavoro cartografico, poi ripresa da tutti i lavori
storici sull'argomento (Felloni, 1972).
Nel caso della Fig. 1, che compendia
i risultati della ricerca sulla suddivisione amministrativa del territorio
in un area determinata, compresa tra Ventimiglia e Taggia, i dati demografici
sono stati ricavati dalla Descrittione della Lyguria di Agostino
Giustiniani (posta a premessa di Giustiniani, 1537). Questo testo si è
rivelato indispensabile anche per l'individuazione dei toponimi e delle divisioni
giuridico-amministrative dell'area studiata in un periodo abbastanza prossimo
al 1564.
La comparazione di fonti cinquecentesche
con fonti posteriori ci fa comunque ritenere che nel caso delle unità
amministrative locali, i territori ed i borghi assoggettati alle varie
Podesterie, Castellanie o Capitaniati non siano mutati in modo
rilevante tra Cinquecento e Settecento, sebbene le controversie "di confine"
tra le diverse comunità costituissero un elemento costante, sia pur
relativo a minime parti del territorio.
L'organizzazione del Dominio di Terraferma
si compì nel corso di un processo pluridecennale. Il controllo del
Territorio da parte di giusdicenti inviati dalla capitale, esercitato dapprima
in forma discontinua e commissariale, venne sistematizzato e regolarizzato
solo per gradi. Nel 1564 l'amministrazione del territorio in ambito civile
e penale è affidata a Podestà e Capitani, che comunicavano
direttamente con il Senato per via epistolare (ASGe, 1545-97, 1560-63, 1564-66,
1570-71, 1562-63, 1562-64, 1564a, 1565-66). Questa documentazione ufficiale,
confluita in sede archivistica nelle varie serie della corrispondenza del
Senato, ha costituito la base della presente ricerca.
L'estremità occidentale del territorio della Repubblica di Genova
si divideva nel 1564 in sei circoscrizioni amministrative: la
castellania di La Piene o Penna (oggi Piena), il capitanato
di Ventimiglia e le Podesterie di San Remo, Ceriana, Taggia e Triora
(Fig. 1).
Le prime due unità territoriali, dotate entrambe di fortezze con
guarnigione militare permanente e governate da due Capitani, non a caso
occupavano le zone di confine con il principato di Monaco e soprattutto con
i dominii dei Savoia, tra i quali va considerato anche il marchesato di
Dolceacqua, feudo della famiglia Doria, ma assoggettatosi alla casata piemontese
con offerta di vassallaggio del 1 luglio 1524 (Rossi, 1862, 1903; Rostan,
1971). Nel 1564 il Marchesato, che comprendeva anche i borghi di Perinaldo
ed Isolabona, era governato da Stefano Doria, Colonnello e Governatore di
Nizza. Questi aveva un'attiva corrispondenza con la Repubblica di Genova,
sia da Nizza che dal suo Dominio di Dolceacqua (Vitale, 1937).
Il castello della Penna (o La Piene),
posto alla sommità di un monte e da cui tutta la giurisdizione prendeva
nome, era governato nel 1564 dal Capitano Lorenzo Usodimari e disponeva di
una guarnigione piuttosto scarsa (un luogotenente e quattro soldati). Questo
castello non doveva essere particolarmente munito e di robusta costruzione,
ma occupava una posizione decisamente strategica e difficilmente espugnabile.
Diversa la situazione di Ventimiglia, dove il forte di S. Paolo (nella valle
del Roja a nord dell'abitato) ed il Castelvecchio (posto alla sommità
del borgo) garantivano una buona difesa e disponevano di una guarnigione
adeguata. Ventimiglia era governata nel 1564 dal Capitano Niccolò
de Franchi, che risiedeva nel Castelvecchio e ne comandava la guarnigione
(Rossi, 1888; Cais de Pierlas, 1890; Rossi, 1899; Rostan, 1971). Lo strategico
avamposto della Penna si ricollegava quindi verso sud ad una ideale linea
difensiva con il forte di San Paolo e con il Castelvecchio.
Le Podesterie di Sanremo, Ceriana,
Taggia e Triora erano rette da Podestà con poteri amministrativi e
penali, di solito nominati direttamente da Genova (Rossi, 1867; Ferraironi,
1953; Grillo, 1965; Borea, XVII-XIX; Boeri, 1986). Il feudo monastico di
Seborga, posto tra Ventimiglia e Sanremo era il dominio più cospicuo
dell'Abbazia provenzale benedettina di Lerin (o S. Onorato) in Liguria
Occidentale (Cais de Pierlas, 1884; Lamboglia, 1966).
I giusdicenti locali seguivano nei rapporti con il Governo centrale la procedura
usuale a tutte le altre magistrature periferiche: inviavano direttamente
al Senato missive riguardanti richieste, suppliche, informazioni di carattere
politico, amministrativo e penale, aggiornamenti di vario genere. Non esistevano
quindi figure intermedie, a meno che il Senato non decidesse di servirsi
di incaricati da inviare personalmente in loco per verificare l'entità
di problemi esposti, dirimere questioni gravi o a lungo irrisolte, controllare
l'operato degli stessi giusdicenti locali.
La ricerca in archivio
Sulla base delle informazioni raccolte
sul sistema politico-istituzionale della Repubblica nel secolo XVI, la ricerca
è iniziata con una analisi dei fondi conservati nell'Archivio di Stato
di Genova. Successivamente si è passati all'esame del materiale
archivistico conservato a Imperia, Sanremo e Ventimiglia, dove sono confluite
anche le sezioni storiche degli archivi comunali di alcuni centri limitrofi
(Berio e Malandra, 1983; Pastorino Silengo et al., 1983). La scelta di queste
archivi è stata dettata da ovvie considerazioni di carattere geografico,
essendo queste le sedi di Archivi o Sezioni di Archivi di Stato comprese
nell'area interessata dalla nostra ricerca, ma anche dalle informazioni raccolte
durante lo studio della suddivisione giuridico-amministrativa del territorio.
Inoltre è stato visitato l'archivio Vescovile di Ventimiglia. La ricerca
non si è limitata ai documenti datati 1564, ma ha anche compreso le
carte relative al quadriennio 1562-66, considerando l'ipotesi di un possibile
errore di datazione del terremoto.
L'Archivio di Stato di Genova si è
rivelato la sede di ricerca più fruttuosa:
esso raccoglie, infatti, la documentazione relativa alle magistrature centrali
della Repubblica che comprende anche il carteggio con giusdicenti ed organi
locali. Gli altri archivi visitati sono sostanzialmente lacunosi e meno ricchi
per quanto riguarda la documentazione cinquecentesca.
Nell'Archivio di Stato di Genova, la
ricerca si è incentrata sui fondi cinquecenteschi custoditi nei depositi
"Archivio Segreto" e "Fondo Senato" (conservato come "Sala Senarega"): in
entrambi è infatti conservata, soprattutto a partire dal 1528, la
documentazione attinente all'attività del Senato, la suprema carica
governativa. Tale scelta è stata determinata dal fatto che, come si
è visto in precedenza, i rapporti tra il potere centrale e gli
amministratori del territorio nel periodo qui preso in esame, erano diretti
e privi di elementi intermediari. Una particolare attenzione è stata
quindi dedicata alla corrispondenza ricevuta dal Senato (proveniente soprattutto
da giusdicenti locali), ma anche alle disposizioni inviate dal Senato a Ministri,
Podestà e Commissari, raccolte parte nel deposito "Archivio Segreto"
(fondi: Litterarum e Instructiones et Relationes) e parte in quello "Sala
Senarega" (fondi: Litterarum; Copialettere del Senato; Lettere al Senato
e dal Senato ai Podestà). Anche altre carte relative al Senato potevano
potenzialmente contenere riferimenti ad avvenimenti verificatisi nel territorio:
è il caso degli Atti (dove sono state reperite ulteriori comunicazioni
epistolari di giusdicenti locali o di singoli individui al Senato), dei decreti,
delle "gride" e di altri fondi miscellanei riordinati nell'Ottocento (nel
deposito "Archivio Segreto", i fondi: Decretorum Manualia; Secretorum; Gride
e Proclami; nel deposito "Sala Senarega", i fondi: Diversorum Collegii; Atti
del Senato).
Una seconda direzione di ricerca ha invece
utilizzato tutti i fondi relativi agli insediamenti nel territorio della
Repubblica ("Archivio Segreto", Diversorum; Buste Paesi - fondi miscellanei
di ordinamento ottocentesco) ed alle loro controversie di confine ("Archivio
Segreto", Giunta dei confini): queste ultime sono essenzialmente suppliche
inviate direttamente al Senato da comunità e singoli
individui.
Nell'Archivio di Stato di Imperia è
stata esaminata la corrispondenza e gli atti giudiziari pubblici e privati
del Podestà di Porto Maurizio (ASIm, 1511-1701, 1543-1573, 1563-1564a,
1557-1596, 1459-1601), nonché altri fondi miscellanei e spesso
disomogenei, contenenti prevalentemente atti notarili, atti giudiziari e
suppliche (ASIm, 1534-1659, 1371-1699, 1563-1564b, 1547-1564).
La situazione dei fondi conservati nella Sezione di Archivio di Stato di
San Remo, sebbene sia stata rintracciata la corrispondenza inviata ai giusdicenti
locali dal governo centrale, è apparsa sostanzialmente priva di un
ordinamento delle carte risalente all'epoca interessata dalla ricerca, anche
a causa delle vicissitudini storiche subite dalla documentazione oggi conservata
in questo archivio. E' stato invece possibile effettuare una ricognizione
mirata sulle carte relative ad un centro minore, Bussana, dove sono stati
reperiti, tra l'altro, i verbali delle riunioni della Curia dei consoli locali
(ASSSR, 1559-1568).
Nel caso della sezione di Archivio di
Stato di Ventimiglia, invece, non è stato rintracciato alcun fondo
contenente la corrispondenza del Capitano o di altri organi locali: poche
indicazioni sono giunte da alcune serie di carattere finanziario (ASSVmg,
1558-1577, 1559-1574) e da una cospicua raccolta di atti pubblici e privati
in materia giudiziaria ed amministrativa (ASSVmg, 1561-1568, 1563-1566a,
1563-1566b).
Le ricerche condotte sulle fonti ecclesiastiche non hanno fornito risultati
positivi (Castelli, 1993). In particolare l'Archivio della Curia Vescovile
di Ventimiglia si è rivelato scarsamente provvisto di materiale
documentario relativo al XVI secolo. Dal momento che le visite pastorali
sul territorio iniziarono solamente nel Seicento, le informazioni sul territorio
della Diocesi si limitano ai registri dei matrimoni celebrati e dei battesimi
(AVVmg, 1500-1613, 1544-1779, 1551-1613). Mancano invece i registri dei defunti,
che avrebbero potuto rivelarsi assai utili per il controllo dei decessi nel
periodo del terremoto, ed informazioni relative allo stato degli edifici
religiosi nel Cinquecento. A questo proposito, Lamboglia (1959), riprendendo
Rossi (1888) ricorda che la Chiesa di S. Michele a Ventimiglia crollò
parzialmente in seguito al terremoto del 1564: ma in entrambi i testi non
vengono citate le fonti utilizzate.
I documenti
Come già accennato in precedenza,
le informazioni più interessanti provengono dai documenti reperiti
nell'Archivio di Stato di Genova, in particolare dalla corrispondenza del
Senato conservata nei fondi Archivio Segreto e Fondo Senato. Grazie a queste
fonti possiamo identificare alcuni casi relativi ad eventi catastrofici naturali,
avvenuti nell'area compresa tra Ventimiglia e La Penna nel corso del 1564
(Fig. 2).
Ventimiglia ed i fatti della primavera 1564
Alcune carte conservate in ASGe (1564-66),
confermano infatti un evento disastroso avvenuto a Ventimiglia tra febbraio
e marzo 1564, seguito da varie inondazioni del Roja, che abbattè il
ponte di legno e deviò sensibilmente il proprio corso.
Il Capitano della Piene, Lorenzo Usodimari,
in una lettera datata 18 marzo 1564, chiedeva infatti al Senato una licenza
per poter andare a Ventimiglia al capezzale della sorella in fin di vita
(non ne veniva indicato il motivo). Il Capitano scriveva anche di essere
stato informato del "successo seguito" a Ventimiglia, dove avrebbe
ora dovuto recarsi anche "per conto di miei beni che in parte erano nel
loco ruinato, tutto che circa essi hanno poco danno secondo mi vien detto"
(ASGe, 1564-1566). Non è agevole interpretare se il "successo
seguito" si riferisse ad un unico evento (un'inondazione che ha anche
rovinato un intero quartiere di Ventimiglia) o a più fenomeni successivi
di diversa natura.
Fig. 2 - Lettere scritte da le localita'
del Ponente Ligure al Senato della Repubblica di Genova nel corso del
1564.
Circa un mese dopo, l'11 aprile, il Capitano
di Ventimiglia, Niccolò de Franchi, ricordava ai Governatori che
"l'altro giorno denotaj a Vs. Ill.me la ruina qui seguita d'alquante case
che furono abissate le quale hano occupato tre strade di sorte che la porta
del Ponte con dificultà se gli pur più passare et non ostante
questo per le grand'innondationi d'acque seguite da' temp'in qua la fiumara
s'è discostata dalla muraglia della terra. la quale restava in fortezza
hora s'è allargata di sorte che ne ... detta muraglia resta in fortezza,
ma anco detta fiumara irradica il più delle volte e porta via il ponte,
et già da parechi giorni in qua per tre volte l'ha portato via"
(ASGe, 1564-1566).
La relazione precedente, a cui De Franchi fa cenno all'inizio, non è
stata purtroppo rintracciata ed avrebbe potuto rivelarsi di grande utilità.
In ogni caso, dalle parole usate dal Capitano, gli eventi susseguitisi
sembrerebbero essere diversi.
A questo punto è importante ricordare che in fonti narrative recenti
(Amalberti de Vincenti, 1988; Calvini, 1987; Abbo et al., 1987, che a sua
volta cita Jervis, 1887) si affianca al terremoto del 20 luglio 1564 anche
un precedente terremoto, definito disastroso, verificatosi nel marzo dello
stesso anno nella stessa area ligure-nizzarda (Abbo et al., 1987 ne riporta
anche la data: il 15 marzo).
Poco dopo aver spedito la propria relazione, il 25 aprile De Franchi scriveva
ancora al Senato per avvisare che "è stato qui li Magnifici sue
Nicolò Grillo et Stephano de Franchi Commissarij, et revisto le doe
fortezze parimente le ruine seguite et il Ponte et, a tutto hanno lasciato
provisione. Mi resta che quanto prima si faccia metter a essecuttione in
compagnia delli Sindici della terra, se gli rifarà ogni deligenza
che quanto prima si faci l'effetto, et di tutto le Signorie Vostre Ill.me
ne saran avisate. I quali Magnifici Commissari son partiti di qui questa
mattina per il porto" (ASGe, 1564-1566).
Stefano de Franchi e Niccolò Grillo erano due commissari inviati da
Genova in missione in diversi centri del Ponente per dirimere varie questioni
amministrativo-penali e per controllare la situazione del territorio: la
loro presenza in Liguria Occidentale fin dall'inizio del 1564 è segnalata
da una loro lettera spedita in data 25 febbraio da Diano al Senato e contenente
informazioni sulla situazione locale. Quest'ultima lettera è conservata
in ASGe (1564b): altre lettere conservate qui e nel fondo Litterarum
dell'Archivio Segreto confermano la presenza dei due commissari a San Remo
in marzo e ad Albenga in marzo e nel maggio 1564, ma nel fondo "Atti Senato"
non esistono cenni all'evento disastroso avvenuto a Ventimiglia in
febbraio-marzo.
Ritornando all'esame dei documenti, si
registra che il 28 di aprile i due commissari de Franchi e Grillo spedirono
una lettera da Albenga informando che la grande entità dei danni descritti
dal Capitano di Ventimiglia al Senato "fu in parto specie di chimera"
(ASGe, 1564-1566). I due commissari avevano infatti verificato la
possibilità di "far voltar l'acqua nel letto antiquo presso la
muraglia senza spesa alcuna della Camera". Le fortezze erano state quindi
ispezionate ed erano stati individuati vari interventi da compiere, in
particolare al forte di S. Paolo. I commissari si riservavano comunque di
riferire direttamente a voce ai Governatori, una volta ritornati a Genova.
La missione dei due commissari è documentata anche da una lettera
inviata al Senato dai Deputati del Castello di Diano (il 14 giugno), dove
si faceva cenno alla necessità, confermata da Grillo e De Franchi,
di riparare la locale fortezza: ma non risulta chiaro se la situazione di
degrado fosse dovuta a normale usura o ad una causa catastrofica improvvisa.
La presenza di Grillo e De Franchi a Ventimiglia nel 1564 è ricordata
anche da Rossi (1888), in una pagina importante che utilizza un "Libro delle
convenzioni e dei privilegi (p. 130)" del quale però non viene citata
la provenienza. Rossi fu poi ripreso da autori successivi (Baratta, 1901;
Berry e Berry, 1963; Rostan, 1971), ma la fonte da lui citata non è
conservata negli Archivi di Stato di Genova, Imperia, Sanremo e
Ventimiglia.
La relazione dei commissari Grillo e
De Franchi al Senato era riportata da Rossi come segue:
"Essendo venuti essi nel luogo dove sono seguite le royne delle case,
et strade da esse impedite, avendo visto il disviamento del fiume, qual prima
correva presso le muraglie della città ed adesso essersi disviato,
et anco vista la royna del ponte di legno portato via da esso fiume, sopra
il che avendo fatto congregare tutto il Parlamento, et sopra le proposte
fatteli, intesi li pareri loro, massime sopra il dispacchiar delle strade
e la refattione di esse: hanno ordinato et per la presente ordinano in magistrato
li egregi Gioan Aprosio q. Roberto, Marco Lungo, Battista Balauco et Gioseph
D'Oria olim de Judicibus, sindici in la presente città per tutto il
tempo del loro ufficio et a loro successori, d'anno in anno respectivamente,
fino che in contrario sia ordinato per la Signoria illustrissima con baylia
et facoltà che possino rivedere le predette royne di case et strade
ponti et altre cose, che minacciassero royne, et quelle far racconciare,
dispacchiare, assicurare rinnovare et finalmente provedere de tutti quelli
remedi che giudicheranno essere necessari al bene essere et policia della
presente città et fortezza di quella ..." (Rossi, 1888, pp.
200-201).
Nel commentare questo testo Rossi non
indica un terremoto quale possibile causa delle rovine, nè accenna
al mese in cui fu scritta questa relazione. Nonostante queste lacune, Rostan
ipotizzerà più tardi un legame tra la "ruina" descritta dai
due commissari ed il terremoto del 20 luglio 1564, pur senza l'apporto di
ulteriori fonti documentate (Rostan, 1971). Al di là di queste
interpretazioni della storiografia locale, sta di fatto che la descrizione
riprodotta da Rossi si allinea perfettamente con le succitate testimonianze
coeve di De Franchi ed Usodimari.
Il 27 aprile 1564 anche il Vicario del
Vescovo di Ventimiglia, il canonico senese Francesco Maccabruni, aveva inviato
una lettera ai Governatori, ma senza riportare alcun cenno ad un terremoto
o evento disastroso verificatosi nei mesi precedenti (ASGe, 1564-1566).
Analogamente, in una successiva lettera del 24 maggio, lo stesso Vicario
parlava solo di alcuni "negocii". Il 3 maggio però il Capitano De
Franchi ritornava sull'argomento, nel mezzo di una missiva dedicata a questioni
penali, ricordando al Senato che "circa il despacchiar delle strade delle
ruine successe, far far il Ponte della fiumara", all'epoca ancora mancante,
era una necessità impellente soprattutto per la sicurezza dei viandanti.
E' da notare, inoltre, che i Sindaci di Consiglio e Parlamento di Ventimiglia
mandarono ai Governatori un inviato (latore di un biglietto di presentazione
datato 1 maggio) di cui però non si conosce il motivo della missione,
ancora non indicato in un breve missiva del 28 maggio sul medesimo argomento
(ASGe, 1564-1566).
Il 29 maggio il Capitano De Franchi esordiva
rispondendo alla lettera del Senato del 23 maggio con l'affermazione che
"havesi con ogi mia possibile dato ordine che la fiumara si accostasse
alla muraglia. E non vi è forma alcuna salvo se da lei venisse tanto
grossa che tornasse altro letto antiqueo com'era prima e de tempo in tempo
è solita a levarsi e tornarvi. Si va appresso far dispachiar le strade
con ogni prestezza possibile e così il ponte, il quale hoggi, a Dio
piacendo, sarà fornito, e per me non si mancha di ogni solicitudine"
(ASGe, 1564-1566).
L'estate e l'autunno 1564 nel Ponente ligure
Per quanto concerne l'arco temporale
più prossimo alla data del 20 luglio 1564, ricordiamo che i documenti
conservati in ASGe (1562-64) hanno fornito risultati poco soddisfacenti:
una lettera del 20 luglio 1564 da Triora, inviata al Senato dal Podestà
locale, Francesco Pinello, tratta esclusivamente di questioni amministrative;
quindi, il 21 luglio, tre lettere da Porto Maurizio, Alassio e Savona (inviate
rispettivamente da due Podestà e dal Vicario) informavano solo di
problemi consueti riguardanti casi di giustizia locale.
In ASGe (1564b) si è rivelata
interessante una lettera inviata da La Piene in data 16 ottobre, ma riguardante
un reato commesso nella stessa località il 20 luglio 1564. Nella lettera
si racconta il fatto: si tratta di una truffa perpetrata ai danni di un vecchio,
Stefano Martino de Mucio, il quale il giorno 20 luglio si era recato in casa
del medico di La Piene dove aveva barattato con questi alcuni suoi beni in
cambio di alcune case di proprietà del medico. Dopo sette giorni,
però, il 27 luglio, il medico aveva venduto le case senza restituire
al vecchio i beni barattati. Nella lettera si chiedeva quindi l'intervento
del Senato, affinché fosse restituito al vecchio il dovuto. Nonostante
il fatto narrato fosse avvenuto proprio il giorno del presunto terremoto
in un luogo che dovrebbe rientrare nell'area di danno, nella lettera non
sono menzionati terremoti o altre calamità naturali.
Proseguendo nell'esame delle lettere
conservate in ASGe (1562-1564), in una lettera del 22 luglio 1564, il
Podestà di Sanremo chiedeva al Senato il permesso di trasferirsi a
Genova, motivando genericamente la richiesta con ragioni di salute, senza
fornire ulteriori informazioni sulle cause del suo stato di infermità.
Le lettere successive, inviate da vari giusdicenti locali al Senato sino
alla fine dell'anno non forniscono quindi alcuna indicazione, nemmeno su
eventuali danni da riparare o su altre catastrofi naturali, con l'eccezione
di quattro lettere inviate al Senato dal Capitano della Piene, Lorenzo Usodimari
tra settembre e dicembre 1564 (ASGe, 1562-1564).
Nell'ordine: il 29 settembre 1564 il Capitano chiedeva urgentemente fondi
per riparare il tetto del castello, nonché quattro pastrani per vestire
i quattro soldati "che sono stracciati" ed ormai impossibilitati a
sostenere i turni di guardia; il 3 ottobre, il Capitano richiedeva nuovamente
aiuti al Senato in quanto "Li Consoli e Conseglio di questo luoco, e ville
superiori mi hanno richiesto che... dessi ragguaglio d'alchuni rouine nouamente
successe in detto luoco per la insolita innundationi de l'acque". Inoltre
parte della muraglia del castello era stata danneggiata dalle medesime
inondazioni e veniva giudicata pericolante. Anche la stabilità di
vari ponti era divenuta inaffidabile e rischiosa. Il 4 ottobre, sempre più
preoccupato e dalla gravità del momento, il Capitano insisteva
sull'entità dei danni subiti dai locali in seguito alle
"innondationi".
La situazione non sembrava essere tornata alla normalità nemmeno pochi
mesi dopo, poiché Usodimari, scrivendo al Senato il 14 dicembre lo
informava che:
"scrissi i giorni passati a Vs. Ill.me
esser ruinato un pezzo della muraglia di questo luogo verso il fiume per
la pioggia che all'hora vene grandissima la quale non solamente ruinò
esso pezzo di muraglia, ma fece ... altri danni assai. Hora per altra pioggia
venuta al principio di questo mese n'è ruinato un'altro pezzo e n'ha
fatto assai altri danni".
I danni di una di queste alluvioni avvenute
a La Piene sono descritti anche in una lettera non datata (inserita fra un
gruppo di missive tutte datate al mese di settembre 1564), conservata in
ASGe (1564b). Qui la comunità di La Piene chiedeva al Senato che le
fosse concesso un terzo delle "condanne" per favorire la ripresa economica
della popolazione dopo "la rovina di aque seguita li giorni passati in
quel paese [La Piene]". Vi erano inoltre menzionati "notabili et
intolerabili danni" ai mulini ad acqua, ai frantoi ed al
raccolto.
Da queste informazioni appare evidente
come fosse piuttosto frequente il verificarsi di un'alluvione disastrosa,
sia nella scoscesa ed impervia località della Piene, sia presso la
foce del Roja. Tuttavia, se può sussistere qualche dubbio sulla vera
origine dell'evento accaduto nel febbraio-marzo del 1564 a Ventimiglia, nel
secondo caso (relativo al periodo settembre-dicembre 1564 a La Penna) la
causa dell'evento disastroso risulta ampiamente individuata.
Considerazioni sulle informazioni raccolte
E' significativo notare che, in presenza
di una documentazione coeva pervenutaci con sufficiente completezza (come
nel secondo caso sopracitato), l'evento disastroso ed i problemi relativi
ai danni ed alle riparazioni, nonché le pressanti richieste di aiuti
materiali fossero sempre segnalati con tempestività direttamente al
Senato da parte del giusdicente locale. Non si può quindi pensare
che nel caso di un evento sismico di rilievo non si verificasse la medesima
situazione.
Tuttavia, la parola "terremoto" non viene
mai riportata nei documenti d'archivio reperiti. La documentazione esaminata
non ha infatti fornito risultati che suffragassero una conferma definitiva
del terremoto del 20 luglio 1564 in area ligure-occidentale. Manca ancora,
quindi, una testimonianza coeva all'evento stesso.
Tra le carte non di tipo epistolare esaminate nel corso della presente ricerca
può essere comunque opportuno segnalare il caso di un "vuoto" di documenti
che potrebbe far riflettere, poiché posto esattamente in corrispondenza
del periodo di luglio 1564. Nel Libro di avarie (ASSVmg, 1559-1574), i pagamenti
di queste tasse venivano infatti regolarmente registrati dal Capitano di
Ventimiglia almeno due volte al mese. Tuttavia si è notato che, nonostante
tutto il 1564 sia stato regolarmente registrato mese per mese, manca qualsiasi
registrazione di pagamenti dal 12 luglio al 29 agosto. L'informazione è
preziosa perché il registro, diversamente dalla filza ed in assenza
di pagine strappate, costituisce una fonte di informazione seriale incorrotta:
in questo caso, inoltre, il passaggio di registrazioni dal 12 luglio al 29
agosto si trova a metà della c. 104r (ASSVmg,
1559-1574).
Si tratta quindi della pausa più
lunga di tutto l'anno (oltre un mese) e le motivazioni potrebbero essere
molteplici, tra cui anche quella di sospendere la riscossione di tasse e
gabelle a causa di un evento calamitoso che ha prostrato l'intera comunità
(Fig. 3).
Direzioni e prospettive per un'estensione della ricerca
I risultati emersi dal presente lavoro
non devono considerarsi definitivi. L'esame di ulteriori fondi conservati
negli archivi di Stato esaminati fino ad oggi potrebbero infatti fornire
nuove direzioni di ricerca.
Una prospettiva del tutto nuova, anche
se ancor più capillare e quindi inevitabilmente non esauribile in
tempi brevi, è rappresentata dall'estensione della ricerca alle fonti
documentarie conservate negli archivi comunali e parrocchiali compresi
soprattutto nell'attuale provincia di Imperia e che conservino documentazione
relativa al XVI secolo. Tra questi si segnalano gli archivi comunali di Porto
Maurizio, Sanremo, Ventimiglia, Savona, Albenga, Taggia.
Oltre agli archivi parrocchiali della
Diocesi di Ventimiglia, potrebbe infine rivelarsi utile anche il reperimento
di eventuali fondi concernenti i vari monasteri siti in questa diocesi, tra
i quali va ricordato soprattutto il Priorato di S. Michele in Ventimiglia
(proprietà dei monaci Benedettini), che possedeva cospicui beni, case
e poderi a Ventimiglia e dintorni (Cais de Pierlais, 1884).
Le difficoltà incontrate nel corso
di questa ricerca e che ancora si prospettano per il futuro dimostrano quindi
la problematicità di ricostruire un "fatto" storico, del quale possiamo
solo ricuperare le tracce, spesso limitate da fattori casuali.
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