Workshop
"Verso la definizione delle caratteristiche dei terremoti attesi"


Home Partecipanti Introduzione Programma

Sessione 1 - Verso una valutazione dell'hazard di nuova generazione
Sessione 2 - Sismicità e strutture sismogenetiche
Bibliografia



Sessione 3 - Previsione a medio termine



Enzo Mantovani e Dario Albarello
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Siena

Previsione a medio termine dei terremoti: stato dell'arte e prospettive per la regione italiana

I tentativi finora effettuati di ottenere informazioni sugli sviluppi futuri della sismicità in Italia sono essenzialmente basati su due tipi di filosofia.
Una parte dal presupposto che le sorgenti sismiche presentino regolarità di comportamento in alcuni dei loro parametri che vengono poi utilizzate come strumento di previsione sul tempo, sul luogo o sulla magnitudo della scossa attesa. A questo tipo di filosofia si possono anche ricondurre i concetti di "ciclo sismico" e "gap sismico".
L'altra filosofia è basata sul presupposto che il rilascio di energia sismica in una zona influenzi in qualche modo la probabilità dei terremoti nelle regioni circostanti. Questa influenza è ovviamente controllata dal quadro tettonico-strutturale della zona implicata, che determina le modalità della migrazione di deformazione dalla zona dove è avvenuta la dislocazione sismica alle zone circostanti potenzialmente sismogenetiche.

Il primo tipo di approccio comprende i modelli noti come "time predictable", "slip predictable" o " terremoto caratteristico". Il primo modello assume che lo stress statico sulla faglia sia costante. Questa caratteristica, unita a un tasso di accumulo di sforzo uniforme, implica la possibilità di prevedere l'intervallo di tempo che separerà una scossa caratterizzata da un certo valore dello "stress drop" dalla scossa successiva. Nessuna previsione è invece possibile per la magnitudo attesa.

Il modello "slip predictable" assume invece che il parametro costante sia lo stress dinamico sulla faglia. Questo implica che sia possibile prevedere lo scorrimento sismico (e quindi stimare la magnitudo) della prossima scossa, sulla base del tempo trascorso dalla scossa precedente (sempre assumendo un tasso costante di accumulo di sforzo sulla faglia).
Nel modello del "terremoto caratteristico" sono assunti costanti sia lo stress statico che quello dinamico e quindi la faglia dovrebbe presentare regolarità di comportamento sia sulla magnitudo delle scosse sia sui tempi di ritorno. In pratica però le varie interpretazioni del terremoto caratteristico proposto in letteratura sono molto variabili, anzi la definizione originale di Schwartz e Coppersmith (1984) si pronuncia, come confermato dagli stessi autori, solo sulla ripetizione delle dimensioni della scossa e nulla prevede sui tempi di ricorrenza. Questo tipo di approccio (regolarità della sorgente) ha dato qualche risultato interessante nelle zone del mondo dove esistono megastrutture sismiche, come ad esempio la faglia S. Andreas in California, ma non sembra offrire prospettive altrettanto incoraggianti in zone di fratturazione larga e complessa come l'Italia. Gli studi finora effettuati sull'applicabilità di queste metodologie in alcune zone del mondo (Kagan e Jackson, 1995) e nel territorio italiano (Mulargia e Gasperini, 1995) hanno dato finora risultati negativi.

Anche il concetto del "gap sismico" presenta varie interpretazioni in letteratura. Quella più valida, secondo la nostra opinione, classifica il "gap" come un settore di una megastruttura che non ha ancora ceduto dopo che gran parte degli altri settori sono stati affetti da terremoti forti. Questa ipotesi è servita a prevedere le zone più esposte a scosse intense nelle aree circumpacifiche. Un'interpretazione molto diffusa classifica invece il gap come la zona che in una data regione risulta più in ritardo rispetto a quelle adiacenti. Sulla base di queste ipotesi Purcaru e Berkemer (1982) hanno individuato due gap nell'area Mediterranea: la zona Eblea e quella di Marmara, ma a tutt'oggi questi siti non hanno registrato scosse forti. Recentemente Nishenko (1991) ha introdotto nel concetto di gap anche la distribuzione delle magnitudo, cioè in pratica i tempi di ricorrenza. Sulla base di questo approccio ha elaborato una previsione per le zone circumpacifiche, ma un'analisi critica di questo lavoro fatta da Kagan e Jackson (1995) ha messo in evidenza che solo due delle nove scosse previste da questo metodo sono realmente avvenute.

Il secondo tipo di strategia (sorgenti interconnesse) comprende approcci di tipo empirico (pattern recognition) e approcci di tipo più deterministico, che per comodità vengono qui identificate come "migrazione della deformazione".
L'approccio della "pattern recognition" (metodo M8, Keilis-Borok e Kosobokov, 1986) assume che la fase preparatoria di scosse intense in una certa zona (da definire) sia preceduta dall'aumento anomalo (da definire zona per zona) di alcuni parametri, come il tasso di sismicità, le variazioni a breve termine del tasso di sismicità, la concentrazione spaziale di terremoti e il numero di repliche. Controlli specifici effettuati sul metodo della pattern recognition (M8) hanno suggerito che i risultati di questo approccio possono essere fortemente influenzati dalle caratteristiche del catalogo usato (Habermann e Creamer, 1994). L'applicazione di questa metodologia alla zona Italiana (Keilis-Borok et al. 1990; Costa et al., 1995a; 1995c) ha dato finora risultati poco interessanti, soprattutto per la scarsa affidabilità delle previsioni ottenute e per la vastità delle zone coinvolte.
Il concetto della "migrazione di deformazione" non è ancora inquadrabile in una metodologia ben precisa, in quanto il suo sviluppo può avere delle modalità differenti a seconda del contesto tettonico e delle relative regolarità sismiche considerate. Alcuni risultati sono stati finora ottenuti nell'area Mediterranea (Mantovani et al., 1991; Mantovani e Albarello, 1996). Le indicazioni più significative si riferiscono a una possibile interrelazione tra la sismicità dell'Italia meridionale e quella della zona Montenegro-Albania. La validità delle correlazioni osservate può essere condizionata dalle eventuali imprecisioni sulle magnitudo considerate, specialmente per la zona balcanica e per la parte più antica dei cataloghi utilizzati. La significatività del fenomeno osservato è comunque confermata da test statistici effettuati con data sets opportunamente alterati in modo casuale con fluttuazioni gaussiane (sd = 0.5) sui valori di magnitudo riportati dai cataloghi, e da analisi di correlazione basate su altri parametri come, per esempio, l'andamento cumulativo del numero di scosse nella zona balcanica. La prospettiva più interessante offerta da questa metodologia si riferisce alla possibilità di monitorare il fenomeno che sta alla base delle interrelazioni osservate, cioè la migrazione di deformazione dalle zone balcaniche a quelle italiane, che potrebbe fornire informazioni più precise sulla zona e sul periodo di occorrenza delle possibili scosse nell'Italia meridionale.
Indicazioni utili per l'individuazione delle zone più esposte alle prossime scosse forti in Italia possono essere ricavate dallo studio delle variazioni di stress statico e dalle migrazioni di deformazione indotte dai terremoti più intensi avvenuti nelle zone periadriatiche. Alcune stime preliminari su modelli elastici semi-infiniti hanno messo in evidenza la possibilità di interpretare gli effetti osservati nel periodo immediatamente post-sismico nella zona della scossa (Nostro et al., 1996).
L'estensione di questi studi a modelli reologici più realistici potrà aiutare a ricostruire gli effetti a più lungo termine e a maggiore distanza dalla scossa scatenante.

Si possono tentare alcune considerazioni conclusive:

1) Per la stima della pericolosità sismica in Italia è opportuno sviluppare anche approcci alternativi rispetto a quelli classici, per tentare di valutare l'andamento temporale della pericolosità, allo scopo di fornire criteri e priorità per interventi di protezione civile.
2) A questo scopo è utile cercare di individuare quei processi tettonofisici, come per esempio, migrazioni di deformazione, variazioni di stress indotte da rilasci significativi di energia o altri tipi di meccanismo che possono accelerare l'accumulo di sforzo nelle zone sismiche in Italia.
3) Per consentire alle ricerche in questa direzione di dare risultati realistici è importante approfondire le conoscenze sul contesto tettonico strutturale nelle zone implicate e sulla sua connessione con l'attività sismica.
4) Siccome tutte le metodologie di indagine finora proposte presentano una scarsa risoluzione sui parametri di interesse, come il tempo, la localizzazione o le dimensioni della scossa attesa, è opportuno tentare un'integrazione di tutte le informazioni fornite per migliorare il potere vincolante e la conseguente utilità pratica delle indicazioni da fornire alla Protezione Civile.
5) Per consentire una valutazione il più possibile omogenea ed obiettiva delle previsioni proposte è opportuno sottoporre i risultati ottenuti a procedure di validazione largamente riconosciute dalla letteratura relativa e possibilmente concordate tra i vari operatori nell'ambito del GNDT e altri Enti implicati nella ricerca.



Massimo Cocco e Concetta Nostro
Istituto Nazionale di Geofisica, Roma

Variazioni di sforzo, attivazione di forti terremoti e risposta della sismicità locale

La conoscenza dello stato di sforzo di una struttura sismogenetica rappresenta una informazione fondamentale per definire il suo potenziale sismogenetico e per valutare la probabilità di occorrenza di forti terremoti.

Negli ultimi anni sono stati proposti diversi metodi per lo studio delle variazioni di sforzo causate da forti terremoti, per associarle all'attivazione di adiacenti strutture sismogenetiche e per determinare le variazioni dei ratei di occorrenza della sismicità di magnitudo inferiore. Per poter definire lo stato di sforzo di una faglia e per poter determinare le probabilità di occorrenza di forti eventi sismici sono necessarie due informazioni fondamentali: il livello di sforzo assoluto, ed i ratei di deformazione o di sforzo (strain rate o stress rate). Mentre lo sforzo assoluto non è determinabile allo stato delle conoscenze attuali, i ratei di carico tettonico possono essere determinati da misure geofisiche (misure di deformazione, slip-rate su tutte le faglie note, ecc.). Purtroppo, tali osservazioni non sono disponibili per tutte le aree sismogenetiche italiane, e quindi i valori dei ratei di carico tettonico possono solo essere dedotti da calcoli grossolani. L'impossibilità di conoscere lo stato di sforzo assoluto di una struttura sismogenetica ci costringe a effettuare misure relative di sforzo. In altre parole, i metodi elaborati permettono di determinare le variazioni di sforzo: cioè la perturbazione al campo di sforzo tettonico regionale causate dal terremoto.

Lo stato di sforzo di un segmento di faglia e le sue perturbazioni dipendono sia dal carico tettonico remoto, sia da tutti gli eventi sismici in grado di alterare il campo di sforzo attivo. Queste perturbazioni dipendono sia dal tempo sia dalle coordinate spaziali. Durante un forte terremoto lo sforzo dinamico concentrato sul fronte di rottura, responsabile del processo di dislocazione associato all'evento stesso, viene diffuso nel mezzo circostante. Il valore dello sforzo dinamico e le condizioni locali di attrito sui singoli frammenti di faglia determinano l'attivazione successiva dei subeventi che insieme concorrono a determinare la magnitudo finale del terremoto. Dopo alcune decine di secondi dalla fase di arresto della rottura cosismica, lo sforzo dinamico decade al suo valore statico. In genere, i diversi subeventi vengono attivati nel giro di pochi secondi a causa della diffusione dello sforzo dinamico ed in funzione delle condizioni locali di attrito. Lo sforzo statico non dipende dal tempo, e si attenua man mano che ci si allontana dalla faglia che ha generato il terremoto. Il campo di sforzo statico indotto si aggiunge al campo di sforzo regionale contribuendo a determinarne la sua variabilità spaziale. Nonostante altri processi possano concorrere alla variazione nel tempo del campo di sforzo statico indotto (come scorrimenti asismici, o variazioni temporali della pressione dei fluidi che determinano variazioni dello sforzo normale effettivo), il campo di sforzo indotto può essere considerato come rappresentativo delle perturbazioni delle condizioni di occorrenza di terremoti futuri in un intervallo temporale che va dalle decine di secondi (quando ancora è diffuso lo sforzo dinamico) a diversi anni, quando fenomeni post-sismici associati a processi di diffusione viscoelastica divengono importanti. Infatti, la maggior parte dello sforzo rilasciato durante un terremoto viene assorbito dall'astenosfera, e diffuso successivamente nello strato elastico superficiale in funzione dei suoi parametri viscoelastici. Pertanto è possibile concludere che le variazioni di sforzo statico possono rappresentare la perturbazione al campo di sforzo attivo su una scala temporale che va da alcune decine di secondi a diverse decine di anni dall'occorrenza di un forte terremoto.

L'effetto della perturbazione dello stato di sforzo in un area sismogenetica si traduce nella variazione delle probabilità di occorrenza di forti terremoti (a condizione di conoscere i ratei di deformazione), nel caratterizzare la distribuzione spaziale ed i meccanismi focali delle repliche (eventi maggiormente condizionati dalle perturbazioni del campo di sforzo prodotte) ed infine nel condizionare l'evoluzione spazio-temporale della sismicità in un'area più estesa rispetto alle dimensioni della faglia sismogenetica.

Il campo di sforzo statico può essere calcolato mediante la soluzione dell'equazione dell'elastostatica rappresentata dall'integrale di Volterra. Seguendo la strategia di calcolo proposta da Okada (1985, 1992) diversi autori (Harris e Simpson, 1992; Stein et al., 1992; Raesenberg e Simpson, 1992; King et al., 1994; Du e Aydin, 1993; Nostro et al., 1996) hanno elaborato differenti codici di calcolo per la valutazione delle variazioni di sforzo statico causate da processi di dislocazione su faglie di geometria nota. In particolare, Nostro et al. (1996) hanno elaborato un metodo di calcolo 3D che tiene conto della reale orientazione del campo di sforzo tettonico regionale. Una soluzione 3D è necessaria per studiare ambienti tettonici caratterizzati da faglie normali, dove lo sforzo tettonico regionale può variare da un'area sismogenetica all'altra. Nostro et al. (1996) hanno studiato le variazioni di sforzo nell'Appennino meridionale, applicando la metodologia sia al terremoto dell'Irpinia del 1980 sia alla sequenza di forti terremoti dal 1600 al 1980. L'applicazione a terremoti storici è particolarmente interessante poiché permette di dimostrare che l'occorrenza di un forte terremoto nell'Appennino meridionale cambia lo stato di sforzo nelle faglie adiacenti anticipando l'occorrenza aspettata di circa 50-100 anni. I risultati ottenuti nel lavoro di Nostro et al. (1996) possono essere così riassunti:

Gli sviluppi di questa ricerca vanno in direzioni diverse. Da un lato è necessario intensificare gli studi e le osservazioni per vincolare i ratei di deformazione nelle principali aree sismogenetiche italiane. Contemporaneamente la metodologia verrà applicata allo studio di eventi sismici non inclusi nel lavoro di Nostro et al. (1996), come il terremoto del 1627 nel Gargano e del 1930 in Irpinia, ed allo studio delle variazioni dei ratei di sismicità associati alle variazioni di sforzo. Un importante contributo deve essere quello di includere gli effetti viscoelastici nel calcolo delle variazioni di sforzo. Poiché l'applicazione all'Appennino meridionale coinvolge eventi sismici che si susseguono con intervalli di circa 40-100 anni, gli effetti di diffusione associati a processi viscoelastici devono essere inclusi. Questa linea di ricerca è stata già avviata e dovrebbe dare i primi risultati nel prossimo futuro.



Giovanni Costa
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Trieste

L' algoritmo CN; previsione a medio termine dei terremoti e conferma del modello sismotettonico d'Italia

L'analisi, basata sull'algoritmo CN, del "Time of Increased Probability TIP" di un terremoto con magnitudo maggiore o uguale ad una data soglia M0 utilizza funzioni normalizzate, quindi l'algoritmo originale, sviluppato nella regione California-Nevada, può essere applicato direttamente in ogni regione di interesse senza nessun aggiustamento dei parametri.
L'algoritmo CN è descritto in dettaglio da Gabrielov et al. (1986) e da Keilis-Borok e Rotwain (1990). L'applicazione dell'algoritmo su scala globale da i seguenti risultati: vengono previsti circa l'80% dei terremoti con magnitudo maggiore di M0, con un periodo di allarme pari a circa il 30% del periodo totale. Un'applicazione all'Italia Centrale, nella quale i confini dell'area analizzata sono dati unicamente dalla completezza del catalogo utilizzato, è data da Keilis-Borok et al. (1990). Un'analisi dettagliata della sismicità nei tre anni immediatamente precedenti i TIP, permette di distinguere gli eventi che causano i falsi allarmi, e le aree interessate da questi eventi, dagli allarmi che invece attivano gli allarmi in cui avviene il forte terremoto. Quest'analisi insieme all'analisi della sismicità e considerazioni sismotettoniche consentono di formulare una più dettagliata regionalizzazione e di valutare la stabilità del metodo (Costa et al., 1995c).
Per ridurre l'incertezza spaziale, l'area in cui un forte terremoto deve essere previsto, deve essere più piccola possibile. Ci sono due condizioni che limitano la sua dimensione minima:

1) i confini dell'area non devono tagliare zone sismotettoniche continue;
2) il numero annuale di terremoti deve essere maggiore, o uguale, a 3 per la magnitudo per la quale il catalogo è completo. Tali condizioni garantiscono che nell'area nella quale si vanno a cercare i sintomi di instabilità ha dimensioni lineari molto maggiori della lunghezza della faglia sismogenetica.

Il comportamento delle funzioni e i valori dei parametri usati nell'algoritmo CN riflettono le caratteristiche della sismicità dell'area analizzata. E' stato dimostrato (Costa et al., 1995b) che la definizione delle regioni sismiche condiziona i risultati della predizione e che, per una data area, la scelta di una regionalizzazione "ottimale" minimizza i fallimenti nella predizione, i falsi allarmi e la durata dei TIPs. In particolare, una corretta regionalizzazione, supportata da evidenze sismologiche e tettoniche, oltre a ridurre la durata degli allarmi ed i fallimenti della predizione, aumenta la stabilità dell'algoritmo. Di conseguenza l'algoritmo CN può essere utilizzato anche allo scopo di verificare se una data regionalizzazione è appropriata.

Il territorio italiano può essere suddiviso in tre zone tettoniche principali differenziabili rispetto al tipo di cinematica recente (Patacca e Scandone, 1989; Dal Piaz e Polino, 1989). Queste tre zone possono essere ulteriormente suddivise in varie zone più piccole con caratteristiche e comportamento sismotettonico differente. Si è passati, quindi, ad un raffinamento della regionalizzazione iniziale seguendo, deliberatamente, solo grossolanamente gli andamenti del modello sismotettonico.
Una più dettagliata regionalizzazione, ottenuta seguendo i confini di ogni zona sismogenetica e tenendo in considerazione le loro caratteristiche, è attualmente in fase di studi e rappresenta l'oggetto della ricerca finanziata dal GNDT.
I confini tra le tre zone principali, nord, centro e sud, non sono definite nettamente e possono essere rappresentate meglio da domini di transizione. Infatti, la divisione del territorio italiano in tre aree, separate da due zone di transizione, risulta in accordo con le indicazioni date dall'algoritmo CN sulle caratteristiche della sismicità.
Per tutte le zone è stato utilizzato il catalogo PFGING, ottenuto dall'unione del catalogo PFG con i bollettini ING (Costa et al., 1995c). In Italia del Nord, a causa dell'incompletezza di questo catalogo dovuta alla presenza dei confini di Stato, è stato necessario aggiungere l'informazione contenuta in un catalogo globale (NEIC) e in un catalogo locale (ALPOR).

In Italia del Nord sono state provate due differenti regionalizzazioni. La prima include il dominio compressivo delle Alpi orientali (Patacca et al., 1990). In questa regione due eventi con magnitudo maggiore di M0, vengono previsti con il periodo di allarme che occupa il 34% dell'intervallo di tempo considerato con 2 falsi allarmi.
La seconda regionalizzazione è giustificata dall'ipotesi che lo sforzo, responsabile dell'esistenza dei terremoti, si "propaga" lungo una struttura tettonica/faglia e si "accumula" ai bordi di questa struttura e/o in zone di intersezione con altre strutture tettoniche/faglie importanti. Di conseguenza, la sismicità concentrata ai bordi della stessa struttura tettonica (o in aree di transizione con altre strutture) non può essere considerata indipendente e dovrebbe essere utilizzata anch'essa nella previsione dei terremoti. In questo studio l'arco alpino è stato considerato come la struttura tettonica lungo la quale lo sforzo si propaga, e la sismicità concentrata in entrambi i sui bordi è stata considerata correlata. Il bordo orientale, caratterizzato da una tettonica compressiva, contiene l'intersezione tra la struttura tettonica delle Alpi e quella delle Dinaridi, mentre, il più complesso bordo occidentale, contiene l'intersezione tra l'unità tettonica delle Alpi e quella degli Appennini. In questa seconda regionalizzazione i due eventi con magnitudo maggiore di M0, vengono previsti e la durata del TIP si riduce, rispetto alla regionalizzazione precedente, dal 34% al 27% con un solo falso allarme.

Come primo passo, per l'Italia del Sud, in accordo con la regionalizzazione proposta per l'Italia centrale da Costa et al. (1995a), il confine settentrionale della zona sud Italia è stato tracciato lungo il parallelo 39.5deg. N. In questo caso solamente uno dei due eventi con magnitudo maggiore di M0 viene previsto con il periodo di allarme che occupa il 25% dell'intervallo di tempo considerato con due falsi allarmi.
Seguendo l'idea di Patacca et al. (1990), secondo la quale il parallelo 41deg. N divide gli Appennini in due domini completamente diversi, è stata provata una seconda regionalizzazione per il sud Italia. Con questa seconda regione i tre i terremoti con magnitudo maggiore di M0 vengono previsti con i TIPs che occupano il 33% dell'intervallo di tempo considerato con cinque falsi allarmi.
Per analizzare l'influenza della sismicità profonda, presente in Italia meridionale, sono stati considerati solo i terremoti crostali presenti nella zona 2. Gli eventi con magnitudo maggiore di M0 vengono previsti, ma la durata dei TIPs occupa il 44% dell'intervallo di tempo considerato. Questo può essere considerato un indicatore del fatto che la sismicità superficiale e quella profonda, in quest'area, non sono totalmente indipendenti, come sembra invece avvenire in altre parti del mondo.
In Italia centrale l'algoritmo CN è stato applicato utilizzando diverse regionalizzazioni (Keilis-Borok et al., 1990; Costa et. al. 1995a; Costa et. al. 1995b), in quanto qui la completezza del catalogo PFGING risulta maggiore. La definizione delle regioni per il nord ed il sud Italia rendono necessario considerare un'ulteriore regionalizzazione per l'Italia centrale. Infatti, le regionalizzazioni scelte per il nord e per il sud Italia contengono zone precedentemente incluse nell'Italia centrale. (Costa et al., 1995a). Utilizzando la regionalizzazione che esclude dall'Italia centrale le zone di transizione, tre dei quattro terremoti con magnitudo maggiore di M0 vengono previsti, ma la durata dei TIPs aumenta dal 30% al 38%, rispetto a quella dello studio precedente (Costa et al., 1995a) con cinque falsi allarmi.

In conclusione l'utilizzo dell'algoritmo CN in Italia ci ha permesso di individuare tre aree con caratteristiche sismiche omogenee per la definizione delle funzioni utilizzate dall'algoritmo (Costa et al., 1995c). Nelle zone così definite sono stati individuati degli allarmi in cui la probabilità di occorrenza di un terremoto è maggiore. In presenza di questi allarmi, le zone dovrebbero costituire zone prioritarie di intervento da parte degli organi competenti. Inoltre, in queste zone l'analisi può essere integrata da analisi effettuate con metodologie differenti, atte a confermare o meno lo stato di pericolo ed a definirlo in maniera più dettagliata.

Gli sviluppi futuri della ricerca da realizzare all'interno del GNDT prevedono la ridefinizione delle tre regionalizzazioni, seguendo più in dettaglio le indicazioni date dal modello sismottettonico d'Italia, in modo da ridurre ulteriormente l'incertezza spaziale ed i falsi allarmi presenti nei risultati attuali. E' stato dimostrato che l'algoritmo CN risulta robusto rispetto agli errori presenti nei dati, cioè nel catalogo, ma anche che i risultati risultano migliori quando il catalogo è migliore. Quindi, risulta necessario migliorare il catalogo attualmente utilizzato, cioè il PFGING, integrandolo con le nuove informazioni disponibili. Questo apre la possibilità di una stretta collaborazione con il gruppo che si occupa di cataloghi all'interno del GNDT, in maniera di giungere alla creazione di un catalogo finalizzato alla previsione a medio termine (1950-1996 per eventi con M > = 3.0). Inoltre, risulta essenziale l'integrazione di queste metodologie con quelle alternative, o a diversa scala, utilizzata dai diversi gruppi facenti parte del GNDT. Un esempio di questo potrebbe essere l'analisi dei falsi allarmi presenti nelle analisi del CN in funzione della ridistribuzione degli stress nelle aree interessate.
Essenziale sarà il monitoraggio continuo delle tre diverse regionalizzazioni definite per il territorio italiano, per individuare eventuali nuovi allarmi. La cadenza dell'analisi dovrà essere almeno bimestrale, od almeno secondo la disponibilità dei bollettini forniti dall'ING.
Inoltre, visti i buoni risultati preliminari ottenuti, si pensa di applicare all'Italia anche l'algoritmo per la previsione a medio termine M8 (Romachkova et al., 1996).



Dario Albarello e Enzo Mantovani
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Siena

Migrazione della deformazione post-sismica nella Piattaforma Adriatica: prospettive di ricerca a seguito del terremoto di Dubrovnik

A partire da una ricostruzione della geodinamica attuale della regione del Mediterraneo centro-orientale è stata suggerita la possibilità che i periodi di attività sismica intensa nelle regioni sismogenetiche situate attorno alla piattaforma adriatica siano mutuamente connessi. Allo scopo di individuare su base fenomenologica queste interrelazioni è stata svolta un'analisi della sismicità intensa della regione adriatica meridionale. L'indagine si è articolata in tre differenti fasi.

Nella prima sono state definite le premesse conoscitive necessarie allo sviluppo dell'indagine. E' stata innanzitutto formulata una zonazione dell'area in esame, individuando su base sismotettonica domini caratterizzati da un regime deformativo approssimativamente uniforme al loro interno. Quindi, sulla base di quanto osservato in altre regioni è stata fissato un limite superiore di 5 anni per la eventuale correlazione fra l'occorrenza di terremoti intensi lungo i margini opposti della piattaforma adriatica. Analizzando le informazioni disponibili in bibliografia si è poi definito il catalogo sismico della regione adriatica. Considerando la magnitudo come stimatore del livello di deformazione associata al singolo evento sismico, sono state definite per ciascuna zona opportune relazioni di conversione utili per la stima della magnitudo dal valore di intensità massima o epicentrale osservata. Solo gli eventi con magnitudo stimata o misurata superiore a 6 sono stati presi in esame nella successiva analisi. Un'indagine speditiva (Albarello, 1993) ha poi individuato il periodo 1800-1994 come periodo ritenuto "completo" per quanto riguarda le informazioni sui terremoti con magnitudo maggiore o uguale alla soglia considerata.

Nella seconda fase è stata svolta un'analisi statistica della sismicità. In particolare, sono state analizzate le possibili correlazioni fra l'attività sismica in coppie di zone sismogenetiche collocate sui margini opposti dell'Adriatico prendendo in esame sia la possibilità che gli eventi lungo il bordo orientale precorrano (con un ritardo massimo di 5 anni) quelli in Italia meridionale, sia che avvenga il contrario. In questo modo sono state individuate due regioni collocate sui margini opposti della piattaforma adriatica per le quali sembra esistere una relazione sistematica e statisticamente significativa fra l'occorrenza dei terremoti intensi. In particolare, l'analisi condotta ha mostrato come ai periodi di attività sismica intensa nella regione dinarico-albanese abbia fatto sistematicamente seguito, nell'arco di 5 anni, l'occorrenza di scosse intense in Italia meridionale (Mantovani et al., 1991; Mantovani e Albarello, 1996).

Nella terza fase dell'indagine è stata tentata una valutazione della regolarità osservata come strumento di previsione a medio termine della futura sismicità intensa in Italia meridionale. Questa analisi ha messo in evidenza come, sulla base della storia sismica passata, l'occorrenza di almeno un terremoto con magnitudo superiore o uguale a 6.5 o di almeno due scosse con magnitudo maggiore o uguale a 6 permetterebbe di prevedere, con una probabilità stimata dell'83%, l'occorrenza entro 5 anni di almeno una scossa con magnitudo maggiore o uguale a 6 in Italia meridionale. Utilizzando questo schema di previsione, la probabilità di mancato allarme sarebbe del 10%. Minore affidabilità avrebbe il precursore costituito da una sola scossa con magnitudo maggiore o uguale a 6 nella regione Dinarico-Albanese con una probabilità di successo del 67% e di allarme mancato del 10%.

Una possibile interpretazione fisica di quanto osservato potrebbe essere trovata nella cinematica a breve termine della piattaforma adriatica (Mantovani et al., 1996) e nei processi di migrazione dello sforzo post-sismico attraverso una litosfera adriatica stratificata da un punto di vista reologico (Albarello e Bonafede, 1990). Questa ipotesi apre la strada a possibili strategie di monitoraggio diretto delle eventuali perturbazioni nei campi di sforzo e deformazione indotte dai terremoti dinarico-albanesi e in lenta migrazione attraverso l'Adriatico.
In particolare, per una più efficace validazione del precursore, emerge la necessità di un approfondimento della ricerca di sismicità storica soprattutto per quanto riguarda la parte balcanica del catalogo utilizzato. Un altro problema riguarda la stima dell'ampiezza attesa delle possibili perturbazioni nei campi di sforzo e spostamento a seguito dell'occorrenza di forti terremoti lungo i margini opposti dell'Adriatico. L'attualità di questo tipo di ricerche viene anche messa in evidenza dalla recente occorrenza di un terremoto di media intensità (M = 5.9) nella regione Dinarico-Albanese che, sulla base dell'analisi condotta, potrebbe suggerire un aumento della probabilità di occorrenza di attività sismica intensa nella regione dell'Italia Meridionale.

In quest'ambito si possono individuare due linee di ricerca, che potrebbero utilmente essere perseguite nel medio-breve termine in ambito GNDT.

La prima, rivolta allo studio della sismicità passata, potrebbe riguardare:

Un secondo indirizzo di ricerca potrebbe riguardare lo studio dei processi fisici connessi alle perturbazioni nel campo degli sforzi e delle deformazioni indotti dall'occorrenza di terremoti intensi. In particolare, studi in questa direzione potrebbero riguardare la modellazione dei campi di sforzo e deformazione in relazione all'attività delle potenziali strutture sismogenetiche sia per quanto concerne le variazioni co-sismiche (variazioni di stress statico) sia quelle post-sismiche legate al comportamento relogico a medio-lungo termine della litosfera.



Massimiliano Stucchi
Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico, CNR, Milano

Sismicità di lungo periodo nell'area dell'Adriatico centro-meridionale ed in Italia meridionale

Allo scopo di verificare, in via preliminare, la affidabilità dei parametri dei terremoti scelti da Mantovani e Albarello (1995a; 1995b) come "learning set" per il modello di previsione a medio termine dei terremoti in Italia meridionale, si è proceduto dapprima ad un confronto speditivo fra i parametri utilizzati da questi autori e i parametri degli stessi terremoti ricavati da altri cataloghi con particolare riferimento ai terremoti fino ai primi anni del 1900. In particolare sono stati considerati il catalogo croato (Herak, 1995) ed albanese (Sulstarova e Kociaj, 1975), scelti per la compilazione del Working file del progetto BEECD (Albini e Stucchi, 1996).
A partire da questi dati è stata ricalcolata provvisoriamente la magnitudo macrosismica con la relazione tabellare Io/Ms utilizzata per la compilazione del catalogo NT4; tale relazione è stata costruita infatti anche con il contributo di terremoti di area albanese. I risultati di questo confronto portano ad alcune variazioni nei parametri epicentrali di alcuni eventi; un'indagine storica di maggior dettaglio sui terremoti in questione è in corso ed i risultati preliminari sono rendicontati da P. Albini.
Inoltre, allo scopo di verificare se episodi di correlazione analoghi a quelli segnalati da Mantovani et al. (1995a; 1995b) si sono verificati anche prima del 1780 è stato eseguito un confronto, anche questo del tutto preliminare, fra i suddetti cataloghi nella finestra adriatica ed il catalogo NT nella finestra dell'Italia meridionale. Prima del 1780 i dati balcanici sono sicuramente molto incompleti, più che nel periodo coperto dal learning set; tuttavia, alcuni episodi di correlazione all'interno di una finestra temporale di durata analoga a quella prescelta (5 anni) possono essere osservati (terremoti del 1279, 1451, 1456, 1608, 1632). Altri eventi potrebbero mostrare correlazioni all'interno di finestre più ampie (fino a 20 anni: 1617, 1639, 1667); alcuni terremoti, anche ben documentati (es.: 1563, ecc.) non sembrano essere seguiti da eventi importanti in Italia meridionale, che sono in genere meglio conosciuti; infine, il fatto che alcuni di questi ultimi non siano preceduti da terremoti balcanici può anche essere imputato alla scarsa affidabilità dei cataloghi di quella regione.

E' interessante notare che i terremoti del "learning set" non sembrano mostrare particolari trend spazio-temporali. Considerando la sismicità dell'Italia meridionale, a partire dal 1456 è invece possibile osservare che i terremoti più forti sembrano distribuirsi, in parte, all'interno di sequenze spazio-temporali con trend principale da nord verso sud; una di queste sequenze in particolare (1805, 1851, 1857, 1870, 1905, 1908) comprende parte degli eventi correlati con il "learning set" balcanico.
Queste "sequenze", sia pure proposte qui soltanto a livello di possibile evidenza, possono trovare una loro spiegazione all'interno delle ipotesi, suggerite dalla letteratura, sulle modalità con cui un grande terremoto modifica i processi di accumulo della deformazione nelle zone adiacenti alla struttura sismogenetica che l'ha generato (si veda in particolare il contributo di M. Cocco). Una tale spiegazione può comunque ragionevolmente convivere con l'ipotesi che i terremoti balcanici fungano da acceleratori di processi di accumulo in atto in Italia meridionale.
La situazione attuale vede comunque alcune zone dell'Italia meridionale che possono rappresentare "candidature preferenziali" come sede del prossimo terremoto. In particolare, ad esempio, la parte settentrionale del Vallo di Diano può rappresentare una zona di accumulo "accelerato" a seguito del rilascio di energia del terremoto del 1980, e forse anche di quello del 1990. Va osservato che la porzione di faglia in questione viene segnalata in letteratura come attiva, e che l'unico forte terremoto correlabile con essa potrebbe essere quello del 1561, in via di riconsiderazione da parte di V. Castelli (Castelli et al., 1996); in sostanza questa zona rappresenta quella che, Pollino a parte, da più tempo attende un evento forte in Italia meridionale.
In conclusione si ritiene opportuno considerare la possibilità di dedicare una certa attenzione a questa ipotesi, dedicando una quota di attività e di risorse a studi su questa zona. Il recente terremoto nell'area di Dubrovnik (settembre 1996) con magnitudo 5.8, che rappresenta un possibile inizio di allarme secondo il modello di Mantovani e Albarello (1995a; 199b), è un elemento che si aggiunge ad una serie di indizi di origine differenziata.



Paola Albini e Habibollah Alinaghi Hossein
Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico, CNR, Milano

Stato delle conoscenze sui terremoti dell'area "Dalmazia meridionale-Montenegro-Albania"

All'interno dell'attività dell'UR "Studio di terremoti dell'area Adriatico-Balcanica" (GNDT, PE 96, A1.2), l'attenzione in questa prima fase si è accentrata sui terremoti utilizzati come "learning set" nei lavori di Mantovani et al. (1995a; 1995b) sul modello di previsione dei terremoti in Italia meridionale, e con particolare riferimento a quelli accaduti tra fine Settecento e inizi Novecento.

Per l'area compresa fra Dalmazia e Albania a sud, i cataloghi parametrici da cui è stato estratto il "learning set" sono Karnik (1969-71), Shebalin et al. (1974), Papazachos e Papazachou (1989). Le fonti di informazioni di questi cataloghi sono repertori sismologici editi fra il 1850 e il 1950 circa. Pochi fra loro si basano sistematicamente su fonti primarie (Perrey, 1844-73, "Notes sur les tremblements de terre en ..." per ciascun anno; Schmidt per gli anni 1840-1878); altri usano soprattutto fonti secondarie (von Hoff, 1841; Mallet, 1854-55; Kispatic, 1891-92). Per l'Albania, i repertori sismologici di Mihajlovic (1927), Morelli (1942) e Mihajlovic (1951) si citano fra loro, senza indicare le fonti di informazione originali. Un semplice confronto fra questa situazione e quella italiana evidenzia la mancanza di compilazioni di riferimento per l'area, paragonabili ad esempio a quella di Baratta (1901) per il territorio italiano.
Ai limiti della base informativa come proposta dalla tradizione sismologica, si aggiungono quelli derivanti dalla situazione geopolitica dell'area fra la fine del Settecento e gli inizi del Novecento. In estrema sintesi, fino a metà Ottocento l'area è amministrata dall'Impero Ottomano, con l'esclusione di alcune zone costiere. Data la scarsezza di importanti insediamenti abitativi nell'entroterra e in presenza di un'amministrazione centralizzata, le fonti documentarie tendono a essere di difficile reperimento e concentrate su poche località, soprattutto quelle fortificate; inoltre, le fonti ottomane offrono informazioni talora di difficile utilizzo per la ricostruzione degli effetti dei terremoti, come sottolineato in recenti studi che le utilizzano (Ambraseys e Finkel, 1993; 1995).
Dando priorità agli eventi prima del 1900, in quanto meno conosciuti e più problematici, per ciascun terremoto sono state individuate le fonti di informazione dei cataloghi parametrici e quelle ricavate dall'analisi dei repertori sismologici già descritti sopra. Le conclusioni preliminari raggiunte sono state raccolte in una scheda sintetica dedicata a ciascun terremoto.
Vengono illustrati alcuni esempi di terremoti compresi tra il 1780 e il 1870.



Fig. 1 - Schema delle relazioni fra cataloghi parametrici (bordo spesso) e repertori
sismologici per il terremoto del 5 settembre 1843.
Evidenziate in grigio le informazioni disponibili nel testo originale.

Gli esempi proposti illustrano con chiarezza la povertà e talora la scarsa attendibilità dei dati di base che supportano i cataloghi parametrici.
Per quasi tutti i terremoti tra il 1780 e il 1900 compresi nel "learning set" è già comunque possibile fornire una sommaria distribuzione degli effetti e, in via preliminare, rideterminare Io e Ms.



Gianfranco Renner
Osservatorio Geofisico Sperimentale, Trieste

Sismicità strumentale dell'Adriatico centro-meridionale: quali informazioni possono essere ricavate ?

La placca adriatica, detta anche microplacca per le sue scarse dimensioni, è caratterizzata da zone sismiche a comportamento diverso: una fascia compressiva tagliata da zone perpendicolari a carattere trascorrente lungo la costa orientale del Medio e Basso Adriatico, una fascia transpressiva nella parte dinarica settentrionale, una zona compressiva lungo la parte meridionale del Sudalpino, e infine movimenti distensivi sono riconosciuti lungo tutta la catena appenninica. Al suo interno, caratteristiche distensive sono osservate nella zona di avampaese (pianura friulana e Adriatico settentrionale) e transtensivi nel Medio e Basso Adriatico. Risulta perciò di estremo interesse aumentare la conoscenza sulla sismogenesi soprattutto di quelle zone interne che, per la loro natura, sono caratterizzate da una bassa sismicità e di cui, perciò, la scarsezza di dati ne ha sempre ostacolato lo studio.
Per meglio analizzare le aree sismogenetiche della microplacca, è stata fatta una ricerca bibliografica che ha portato ad un elenco di circa 350 terremoti con soluzione focale (localizzazioni ipocentrali e meccanismi focali). Per i terremoti meglio documentati in quanto a dati registrati, si è pensato di procedere a una revisione delle localizzazioni ipocentrali e dei meccanismi focali visto che le localizzazioni ISC, cui normalmente si fa riferimento hanno, talvolta, incertezze notevoli. Tramite integrazione dei dati ISC con quelli di altre stazioni europee, sono state ricalcolate le localizzazioni di 24 terremoti riguardanti l'Alto e Medio Adriatico (Rebez et al., 1992; Renner e Slejko, 1994a, 1994b). Le localizzazioni ottenute risultano interessanti per due motivi. Il primo è che, accanto ai parametri focali, sono stati stimati i relativi errori statistici che permettono di valutare, in modo omogeneo, la qualità delle localizzazioni. Il secondo motivo è che la qualità delle soluzioni sembra essere sensibilmente migliorata rispetto a quella prodotta dall'ISC. Questa valutazione qualitativa si basa sul fatto che nella presente elaborazione il numero di stazioni utilizzate è maggiore e l'algoritmo di calcolo ha criteri di convergenza più selettivi rispetto a quanto fatto dall'ISC (lo si vede dall'approssimazione delle coordinate focali).
Le nuove localizzazioni di questi terremoti, dovuti a faglie di tipo normale in mare e, trascorrenti nella zona di Hvar in parte riportate in Renner e Slejko (1994a), sono confrontate con quelle ISC in Fig 1. Le differenze ottenute non sono molto grandi e solo in pochi casi risultano interessanti dal punto di vista sismotettonico; è da ribadire, però, l'importanza della stima degli errori ora disponibile. La raccolta dati finalizzata alla rilocalizzazione degli eventi ha portato, senza ulteriore sforzo, alla costruzione del meccanismo focale degli eventi con più dati disponibili. Le considerazioni sull'interesse di questa operazione possono ripetere quelle già formulate per le rilocalizzazioni.
Per questo lavoro è stato utilizzato il programma Hypo71 che, risulta abbastanza preciso, per quel che riguarda la determinazione delle coordinate epicentrali, anche se utilizza un modello crostale unico a strati piani e paralleli, quindi molto lontano dalla realtà. Inoltre nei calcoli delle localizzazioni vengo usati, di solito, i tempi assoluti di arrivo delle onde "P" e "S" e non la loro differenza di tempo. Quindi Hypo71 può andar bene per terremoti avvenuti dopo il 1970-1975, ma può dar luogo ad errori grossolani per gli eventi verificatisi negli anni precedenti quando c'erano poche e mal distribuite stazioni di registrazione e gli orologi erano meccanici e quindi affetti da grossi errori. Un altro problema nell'utilizzo di Hypo71 per terremoti pre 1970 è quella della scarsa distribuzione azimutale delle stazioni di registrazione che ha aggravato la mancanza di dati causata dalla scarsa sismicità della zona.
In un futuro si tenterà di recuperare i dati strumentali (bollettini originali o copia dei sismogrammi) per gli eventi maggiori in modo da ottenere migliori localizzazioni ipocentrali e, dove possibile, soluzioni di meccanismi focali. Si proveranno metodologie di calcolo che utilizzano modelli crostali più accurati e, invece dei tempi assoluti di arrivo delle fasi "P" e "S", si tenterà l'utilizzo della differenza di tempo fra di esse.



Fig. 1 - Confronto fra localizzazioni recenti OGS (cerchi) e ISC (triangoli).



Viviana Castelli
GNDT presso Osservatorio Geofisico Sperimentale, Macerata

Il terremoto del 1561 nel Vallo di Diano

Viene qui sintetizzato lo stato delle conoscenze sul terremoto del 1561. Esso è oggetto di uno studio CFT (Boschi et al., 1995a) qualificato come "revisione critica della bibliografia" e di uno studio GNDT (Castelli et al., 1996) basato sulle fonti individuate tramite l'analisi di un set prefissato di repertori sismologici la cui metodologia è illustrata in Stucchi (1991). La base informativa è sostanzialmente la stessa per entrambi gli studi e in particolare sono comuni le fonti più importanti per la ricostruzione del danneggiamento: Pacca (1563) e Bella Bona (1656).
Gli studi delineano due eventi che causarono danni (31 luglio e 19 agosto 1561) e alcune repliche attestate solo da Avellino. Il 31 luglio si ha notizia di danni gravi a Buccino e lievi ad Avellino (Pacca, 1563; Bella Bona, 1656). Il 19 agosto danni più o meno gravi sono segnalati da Pacca (1563) in una trentina di località del Vallo di Diano e della Basilicata.
La comprensione dell'andamento degli eventi presenta aspetti problematici. Le conoscenze sull'evento del 31 luglio sono lacunose rispetto ai possibili effetti nelle località più vicine a Buccino (per molte delle quali si ha notizia di effetti il 19 agosto) e in genere nella vasta area compresa tra Buccino e Avellino. Inoltre è arduo distinguere gli effetti dei due eventi, essendo questi avvenuti a poca distanza l'uno dall'altro. Lo stesso Pacca (1563) osserva che a seguito dell'evento del 31 luglio "furono commossi ancora tutti gli edifici de le già dette provintie [Basilicata, Principato e Terra di Lavoro] onde con facilità poi rovinorono soccedendo l'altro".
Per l'evento del 19 agosto, meglio conosciuto, le distribuzioni di punti d'intensità proposte dagli studi CFT e GNDT presentano alcune divergenze, per lo più non sostanziali, alcune delle quali sono riportate in Tab. 1.

località Notizia riportata in CFT

I
(MCS)
CFT

Notizia testuale in Pacca (1543)

I
(MCS)
GNDT

Tito La scossa del 19 agosto causò la distruzione pressochè completa dell'abitato e la morte di 100 persone. (Pacca,1563; Pacca, 1591; Summonte, 1602-13)

10

Il castello del tito talmente rimase destrutto ch'appena vi rimase il titolo perciò che quasi tutto s'uguagliò al piano, one vi morirono più che 100 persone 10
Buccino La scossa del 31 luglio causò il crollo di 200 case e danneggiò gravemente le rimanenti; morirono circa 100 persone e molte altre furono ferite; crollarono la residenza del marchese e una parte del castello; la scossa successiva del 19 agosto causò ulteriori danni. (Pacca, 1563)

8

-

-

S.Angelo le Fratte La scossa del 19 agosto causò il crollo di 30 case e la morte di 8 persone. (Pacca, 1563)

8

nel castel di Sant'Angelo detto de la Tratta con la rovina di 30 case morirono 8 habitatori

8-9

Calitri La scossa del 19 agosto causò il crollo di metà del castello; non vi furono morti. (Pacca, 1563)

8

in Calitri lo castello rovinò mezzo

8

Pantoliana

-

-

à Pantoliano (rovinarono) circa 20 case con morte di 8 persone

8

S. Licandro

-

-

similmente (Calitri) in Santo Licandro

8

Picerno La scossa del 19 agosto causò il crollo di un terzo delle case e della chiesa Madre; morirono 20 persone. (Pacca, 1563; Pacca, 1591; Summonte, 1602-13)

8-9

nel castello de Picerno (ov'ha principio un fiume che da lui si denomina) rovinò la terza parte degli edifici con la maggior chiesa e vi rimasero spenti di vita 20 habitatori 

8

Potenza La scossa del 19 agosto causò il crollo di 10 case; non vi furono morti. (Pacca, 1563)

8

nella città di Potenza ... caddero 10 case senza cagionar morte

7-8

Bella La scossa del 19 agosto causò il crollo di 2 e la morte di 1 persona. (Pacca, 1563)

7-8

nel castel della Bella caddero due case e vi morì un huomo

7

Tab. 1 - Confronto, per alcune località, tra le notizie riportate in CFT e quelle presenti in Pacca (1563).

In particolare CFT assegna l'VIII grado a Buccino in base a una segnalazione di "ulteriori danni" da parte di Pacca (1563). Lo studio GNDT sceglie invece di non assegnare un'intensità a Buccino perchè Pacca non cita questa località tra quelle per cui descrive gli effetti dell'evento del 19 agosto, per quanto osservi - in un capitolo successivo - che nel 1561 Buccino "due volte [...] tra un mese, provò la violenza del movimento [sismico]". Lo studio GNDT assegna inoltre il grado VIII a Pantoliano e S. Licandro, citate da Pacca (1563) e identificate su carte del XVI secolo.
Quanto si sa sul terremoto del 1561 è fortemente influenzato da una fonte, Pacca (1563), più autorevole di ogni altra per qualità e quantità di dati forniti ma non necessariamente esauriente e/o del tutto trasparente. Pacca è talvolta enigmatico, come suggerisce la sua identificazione di "Vietri" con un "castello de Principato posto tra Amalfi e Salerno" (ossia Vietri sul Mare) in un contesto in cui sarebbe più plausibile (non si sa se più corretto) un riferimento a Vietri di Potenza. Inoltre, un confronto tra Pacca (1563) e il più tardo e sintetico Pacca (1591) fa intravvedere la possibilità che egli abbia avuto accesso ad altre informazioni, come testimonierebbero gli accenni a cifre su edifici distrutti e vittime (Tab. 2).
Attualmente è possibile configurare il terremoto del 1561 come una sequenza di eventi caratterizzati da una distribuzione di danni piuttosto ricca e localizzati in una zona abbastanza ben definita. Resta però aperto il problema della ripartizione degli effetti per i singoli eventi e della valutazione della loro energia; date le caratteristiche della fonte principale di queste conoscenze, non si può escludere la possibilità che una parte delle informazioni utili sia ancora da scoprire.

-

Pacca (1563)

Pacca (1563)

-

     31 luglio    

     19 agosto    

     31 luglio    

     19 agosto    

Napoli

s'intese

si senti'

terremoto

sentito

isole prossime

-

-

terremoto

-

Sicilia

-

-

terremoto

-

Terra di Lavoro

maggiormente

maggior rovina

-

-

Principato

maggiormente

-

soprattutto

585 morti 551 edifici distrutti
Basilicata

maggiormente

maggior rovina

soprattutto

585 morti 551 edifici distrutti
Bocino

rovinato

-

-

-

Palo

-

crolli

-

-

Sicignano

-

crolli

-

-

Vietri

-

crolli

-

-

Cagiano

-

crolli

-

-

Polla

-

crolli

rovinata

-

Santo Arsieri

-

crolli

-

-

Santo Pietro

-

crolli

-

-

Santo Ruffo

-

crolli

-

-

Vallo di Diano

-

-

molto danno

-

Ottati

-

crolli

-

-

Pantoliano

-

crolli

-

-

Atheni

-

crolli

-

-

S. Giacomo

-

crolli

-

-

Sant'Angelo

-

crolli

-

-

Sala

-

crolli

-

-

Balbano

-

crolli

rovinata

-

Tito

-

rasa al suolo

rovinata

-

Picerno

-

crolli

rovinata

-

Vignola

-

crolli

-

-

Potenza

-

crolli

-

-

Ruoti

-

crolli

-

-

Agliano

-

crolli

-

-

Atella

-

crolli

-

-

Calitri

-

crolli

-

-

S. Licandro

-

crolli

-

-

Santo Fele

-

crolli

-

-

Castel Grande

-

crolli

-

-

Bella

-

crolli

-

-

Muro

-

crolli

-

-


Tab. 2 - Confronto tra le informazioni presenti in Pacca (1563) e quelle riportate da Pacca (1591).



Francesco Mulargia
Dipartimento di Fisica, Università di Bologna

La previsione a medio termine: verso stime di hazard migliori ?

Che sappiamo della Fisica dei Terremoti? Non molto. E' vero che utilizzando una modellazione macroscopica di una faglia in propagazione si è riusciti a modellizzare il fenomeno dell'emissione di onde elastiche in maniera soddisfacente. Ma si è trascurato del tutto il dettaglio, e cioè la fisica di base, del processo. A causa di ciò nessun modello fisico è ancora riuscito a descrivere in modo soddisfacente il ciclo sismico (vedi ad esempio Ben-Menahem, 1995) in maniera praticamente utilizzabile, e la previsione dei terremoti rimane una chimera. La conoscenza del fenomeno è in realtà talmente scarsa che non è stato ancora possibile derivarne neanche una descrizione statistica univoca, come è provato dalla pletora di distribuzioni che vengono utilizzate con apparente pari dignità, nelle stime di pericolosità.
Le ragioni di questa situazione non vanno tanto ricercate in una particolare ignoranza o ignavia dei fisici terrestri, quanto nella enorme complessità del processo fisico, la fratturazione, che sta all'origine dei terremoti. Gli studi che vengono sviluppati con crescente interesse nell'ambito della scienza dei materiali, mostrano che la frattura è, ancora più della turbolenza, probabilmente il processo più complicato che si conosca: esso è multidimensionale, antientropico, frattale, autoorganizzato (Kagan, 1994). Quello che appare certo è che le tecniche classiche d'indagine sono molto inefficaci nel descriverlo e la ricerca si sta infatti indirizzando verso lo sviluppo di nuove procedure d'analisi: basta guardare un qualsiasi numero del Pysical Review, o di Physica D, o del Journal of Physics per rendersene conto.

Alla luce di questo, esiste una strategia ottimale per "prevedere" dove, quanto grandi, e quando si verificheranno i prossimi terremoti distruttivi? Assodato il fatto che una previsione deterministica è al momento attuale la patria dei ciarlatani, e, vista la complessità del fenomeno, non è impossibile che lo rimanga per sempre, esistono secondo me tre strategie per migliorare la capacità previsionale statistica in Italia.

Primo, continuare a sviluppare le stime di hazard secondo le metodologie classiche. Grazie all'alto grado di civilizzazione e all'estensione areale limitata, il territorio italiano ha cataloghi sismici che, per accuratezza e copertura temporale, non hanno pari al mondo. Ciò ha anche favorito lo sviluppo di tecniche per l'analisi dei cataloghi sismici che ci mettono, una volta tanto in posizione preminente nel panorama scientifico mondiale. Ricordiamo tra queste le procedure per l'analisi della completezza (Mulargia e Tinti, 1985; Tinti e Mulargia, 1985), del clustering (Gasperini e Mulargia, 1989), della stima di parametri sismici da dati non strumentali (Ferrari et al., 1995), della interpretazione di dati paleosismici (Pantosti et al., 1993) e della inapplicabilità pratica dei modelli empirici time- e slip-predictable (Mulargia e Gasperini, 1995). Mi pare quindi che esistano tutti gli elementi per migliorare l'affidabilità e l'accuratezza dei risultati ottenibili analizzando i cataloghi sismici con metodi standard, i quali sono strumenti rozzi adatti ad essere applicati a cataloghi rozzi.

Secondo, cercare di comprendere la fisica dei terremoti in modo da prevederne l'evoluzione futura. Lasciando perdere i modelli time-, slip-predictable, e terremoto caratteristico, la cui inapplicabilità è stata chiaramente dimostrata (Mulargia e Gasperini, 1995; Kagan, 1993), e ritenendo troppo ottimistico prendere per buono ciò che si basa sull'evoluzione di modelli sismotettonici a decine (o centinaia) di parametri scelti perlopiù soggettivamente, mi sembra che sia necessario darsi obiettivi concreti. Piuttosto che perdersi in elucubrazioni basate sul presunto prestigio di chi le fa, e la cui efficacia è, nella migliore delle ipotesi, dubbia, mi pare più onesto e costruttivo cercare di caratterizzare la dinamica di base del processo, e cioè se esso è stocastico o caotico, utilizzando strumenti di analisi non classici (Marzocchi et al., 1996), perchè si è visto che quelli classici sono poco efficaci (Boschi et al., 1995b). Si noti che, se fosse possibile identificare componenti caotiche nel processo, ne discenderebbe immediatamente la capacità di fare previsioni accurate a breve termine (Gonzato et al., 1994).

Terzo, una caratteristica ancora poco compresa dei processi di frattura, ma che sembra costituire un'evidenza fenomenologica unica quanto la loro complessità, è l'intrinseca autosimilarità. Che questa riguardi la variabile spaziale è ovvio da tempo, tant'è che tradizionalmente i geologi devono inserire un elemento di scala (una moneta, un martello) nelle loro fotografie, ed è proprio su queste considerazioni che Mandelbrot ha inventato la geometria frattale. Ma l'autosimilarità esiste anche per la dimensione (magnitudo): gli eventi di rilascio di energia elastica nei processi di frattura avvengono secondo una legge di potenza (la legge di Gutenberg-Richter) che vale immutata sia in laboratorio sia in situ (Kagan, 1994). Infine esiste una chiara autosimilarità nella scala dei tempi: la legge di Omori per il decadimento degli aftershock T-p, con p ~ 1 vale altrettanto bene in laboratorio che in situ (Hirata, 1987). Questa caratteristica di totale autosimilarità del processo conferisce agli studi sperimentali potenzialità tanto grandi da apparire quasi incredibili: attraverso esperimenti di frattura in laboratorio è possibile studiare la fisica dei terremoti trasferendo i risultati al caso reale senza la necessità di introdurre parametri di scala. L'enorme vantaggio rispetto agli studi in situ sta nel potere controllare le condizioni di stress e di strain, e nello studiare un sistema isolato: mentre nel caso reale non è mai possibile stabilire con certezza se una zona risente o meno degli effetti di quelle vicine, in laboratorio le fratture sono per forza confinate all'interno del campione. Utilizzando le attrezzature del Laboratorio di Meccanica delle Rocce, sviluppato negli ultimi 15 anni al Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna, sono pronto ad intraprendere un programma di esperimenti con lo scopo di determinare la distribuzione statistica, e quindi il modello statistico, dei terremoti.


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