Chiunque abbia sommariamente analizzato il CPTI15 (Rovida et al., 2016), per gli eventi dello scorso secolo, può avere notato che gli anni centrali mostrano una significativa diminuzione dell’attività sismica. È chiaro che durante gli anni della II Guerra Mondiale la rete di raccolta di dati è stata frantumata e che sono pochi gli eventi sismici accaduti in quelli anni che hanno lasciato significative tracce. Pure negli anni della ricostruzione post-bellica è comprensibile la perdita di informazioni. Tuttavia, anche durante gli anni che precedettero la II Guerra Mondiale si registra un tasso di attività molto minore. A un certo punto degli anni ‘30, il numero di eventi diminuisce in modo significativo, molto prima che gli eventi bellici abbiano direttamente colpito il territorio italiano. Come possiamo spiegare questo calo nel numero di terremoti registrati? Di certo, non si può escludere a priori una diminuzione naturale della sismicità, benché sia noto che in altri periodi storici questo tipo di variazioni siano state dovute a circostanze sociali e politiche che avevano fortemente condizionato la produzione, la diffusione e la conservazione d’informazioni.
È noto che durante gli anni della dittatura fascista la circolazione di informazioni era soggetto a uno stretto controllo, il quale mirava a eliminare o a diminuire l’impatto nella società di certo tipo di notizie, in particolare politiche, ma anche quelle riguardanti le calamità naturali (Cannistraro, 1975; Tranfaglia, 2005). Da parte dell’Ufficio Stampa del governo e poi da parte di un Ministero creato ad hoc (il Ministero di Cultura Popolare), si emanavo ogni giorno le direttive che dovevano essere seguite dai quotidiani, con la minaccia di sanzioni se le “raccomandazioni” non fossero state rispettate:
“Rapporto del 26 settembre XI. Il conte Ciano ha raccomandato di non drammatizzare in merito al terremoto avvenuto negli Abruzzi. Sarà diramato dalla «Stefani» un comunicato in proposito in base al quale dovranno essere orientati i commenti.” Agenzia Stefani (1933).
Non è detto che tale controllo sia stato esercitato anche sulle informazioni che arrivavano al (Reale) Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica (UCMG), incaricato di pubblicare il Bollettino (Cavasino, 1928-1936), con le informazioni macrosismiche, e poi al novello Istituto Nazionale di Geofisica. Nonostante ciò, è plausibile che nel tentativo totalitario di modellare l’immagine del paese, il regime abbia esercitato pressioni anche sul personale (i “relatori”) che forniva i dati all’Ufficio, oltreché su altri funzionari (come i podestà), da cui ci si attendevano notizie. Dietro le lamentele più volte espresse da Cavasino (1928-1936) sui “relatori” che spedivano le informazioni con cui si redigevano i bollettini (di cui ne parla come di “poco pratici” e che realizzavano i rilievi con “incuria”), forse si trova anche la volontà di disinformazione da parte del regime, sebbene al momento questa sia solo un’ipotesi. Ad ogni modo, la dipendenza dell’UCMG da fonti esterne sicuramente non ha giovato alla precisione dei dati raccolti, resa particolarmente vulnerabile a interferenze politiche che allora si esperimentavano in ogni settore della società.