Era il 1992, quando l’allora Servizio Sismico Nazionale avviava, per intuizione e volontà del suo Direttore, Roberto De Marco, un progetto di documentazione sui maggiori terremoti italiani, scelti non solo per la magnitudo e intensità epicentrale ma anche – e soprattutto – per il significato che ebbero nelle vicende storiche e sociali di vasti territori e di intere comunità del nostro Paese.
Per diversi anni mi sono trovato a coordinare questo progetto nel cui ambito - e poi successivamente come Dipartimento della Protezione Civile - sono stati realizzati e pubblicati, grazie al contributo di tanti ricercatori, enti, archivi, biblioteche, studi monografici su alcuni importanti terremoti italiani: dal terremoto dell’isola d’Ischia (1883) a quello della Marsica (1915), dell’Alta Irpinia (1930), del Mugello (1919), della Calabria (1905) e di Reggio Calabria e Messina del 1908.
Nell’elenco dei terremoti significativi, dei quali si sarebbe dovuto approfondire il contesto storico, sociale, fisico dei territori coinvolti, era presente l’evento irpino del 21 agosto 1962, per diversi motivi: l’energia associata, le conseguenze, le caratteristiche del territorio coinvolto, il momento storico.
Erano gli anni del boom economico; l’Italia era desiderosa di dimenticare disastri e tragedie.
L’area colpita, posta in un settore interno dell’appennino meridionale, caratterizzato da un’economia povera, prevalentemente agricola e il numero limitato delle vittime favorirono la rapida rimozione della memoria.
Citando gli Autori, “Il terremoto del 1962 colpì territori che da un punto di vista della collocazione geografica, sociale ed economica occupavano delle aree di estrema marginalità”; situazione, questa, che ancora oggi caratterizza gran parte dei territori interni del nostro paese e si riflette sulle caratteristiche dell’edilizia: edilizia generalmente povera, per la qualità dei materiali utilizzati e per le modalità costruttive.
Così, sull’evento del 1962 molto poco fu scritto; poco - e con difficoltà - si rinviene nei luoghi ufficialmente deputati alla conservazione di atti e documenti.
Era dunque necessario colmare questa grave lacuna informativa su un evento che ha segnato un territorio già coinvolto prima di allora - e che lo sarà nuovamente nel 1980 - da alcuni dei più gravi disastri della storia sismica italiana.
Alle ore 19:19 del 21 agosto 1962, una scossa di magnitudo 6.2 fece tremare la Campania.
Come emerge dalla lettura del primo capitolo di questo volume, che ricostruisce, passo dopo passo, la storia sismica delle province di Avellino e Benevento, questo terremoto “rappresenta solo uno degli anelli della catena di eventi che hanno storicamente interessato l’Appennino meridionale scandendo le vicende urbanistiche, sociali ed economiche delle popolazioni residenti”.
Il terremoto, che ebbe una intensità epicentrale del IX grado Mercalli, colpì un’area posta al confine tra il Sannio e l’Irpinia, seminando il panico nella popolazione che si riversò nelle strade e nelle campagne bloccando le principali vie di comunicazione.
In provincia di Avellino, i paesi più colpiti risultarono: Ariano Irpino, Casalbore, Melito Irpino, Montecalvo Irpino.
In provincia di Benevento i più danneggiati furono: Apice, Ginestra degli Schiavoni, Molinara, Reino, S.Giorgio la Molara.
Quasi tutti i paesi colpiti erano ubicati sulla sommità di rilievi, una condizione, questa, che probabilmente accentuò gli effetti dello scuotimento e rese più gravi i danni subiti dagli edifici, travolti spesso da numerosi movimenti franosi innescati dalla scossa lungo i versanti collinari.
Complessivamente risultarono danneggiati circa 450 comuni, dei quali 355 in Campania.
Nell’area epicentrale, oltre l’80% degli edifici risultò gravemente danneggiato.
Le abitazioni (quasi tutte costruite due o tre secoli prima), nonostante sembrassero intatte, non essendosi verificati crolli o danni evidenti alle facciate esterne, svelavano invece all’interno crepe profonde, crolli parziali di solai e di scale, ed una struttura complessivamente instabile e pericolante, tale da renderle inagibili.
Influirono negativamente sugli effetti del sisma le fondazioni carenti e superficiali degli edifici e le caratteristiche della muratura, realizzata con ciottoli o pietra grossolanamente squadrata, legata con malta povera.
Le poche costruzioni realizzate in cemento armato subirono invece poche lesioni o risultarono addirittura intatte.
Come pure limitati furono i danni alle strade, ponti e viadotti.
La stagione, l’ora della scossa principale e l’allarme provocato da un paio di scosse premonitrici, alle 16:56 ed alle 19:10, in seguito alle quali la popolazione aveva abbandonato le case, limitarono fortunatamente il numero delle vittime.
Il bilancio fu di 17 morti e circa 200 feriti.
Il capitolo sulla risposta istituzionale ben descrive in questo volume le modalità con le quali intervenne il Governo e venne avviata la macchina dei soccorsi, ripartendo le competenze tra il Ministero dei LLPP e il Ministero dell’Interno: il primo impegnato attraverso gli Uffici del Genio civile nell’opera di demolizione e sgombero, il secondo soprattutto nell’assistenza e soccorso alla popolazione.
L’intervento di pronto soccorso mostrò inevitabili lacune per la mancanza di coordinamento degli aiuti, ma anche la successiva fase di ricostruzione delle aree colpite non fu caratterizzata da una particolare propulsione economica e sociale.
La stessa attuazione dei piani di zona e ricostruzione fu problematica perché i comuni non disponevano delle somme necessarie sia per procedere alle espropriazioni dei suoli, sia per la costruzione delle infrastrutture.
Particolarmente significativi in tal senso i dati relativi alla ricostruzione presentati dagli Autori sulla base della documentazione raccolta.
Tali dati indicano che dopo 2 anni solo l’1% delle pratiche relative a opere urbane e il 4% di quelle relative ad abitazioni risultavano finanziate e dopo 5 anni complessivamente solo il 21% delle pratiche era stato finanziato.
Cinquant’anni sono trascorsi da quei giorni.
Da allora ad oggi molti passi in avanti si sono fatti per la prevenzione del rischio sismico, anche se molto resta ancora da fare.
Gli eventi sismici che seguirono il terremoto del 1962, con ben più tragiche conseguenze, primi fra tutti quelli del Friuli del 1976 e dell’Irpinia del 1980, portarono finalmente l’attenzione delle istituzioni su problemi troppo a lungo trascurati: la difesa del territorio dai terremoti e l’organizzazione di una efficiente struttura di protezione civile.
Non è un caso che la comunità scientifica elabori, a seguito di tali eventi, una proposta di classificazione sismica che, per la prima volta, considerava nell’attribuzione del grado di sismicità la storia sismica dei territori comunali.
Dopo il 1980 venne anche avviata la realizzazione della rete sismica nazionale centralizzata, affidata all’Istituto Nazionale di Geofisica, per dare soluzione ai ritardi delle prime ore nell’opera di soccorso, causati dalla gravità dell’evento, dall’impraticabilità delle strade, ma anche dall’assenza di una rete sismografica di sorveglianza del territorio che consentisse la localizzazione certa dell’epicentro e quindi dell’area più colpita.
L’esperienza del terremoto irpino-lucano fece emergere, inoltre, la consapevolezza che i problemi attinenti la protezione civile non potevano essere trattati nell’ambito di un settore specifico dell’Amministrazione Pubblica (allora il Ministero di competenza era il Ministero dell’Interno), ma erano problemi di ordine generale, che coinvolgevano il Governo nella sua interezza, sia per quanto riguarda il necessario coordinamento delle attività, sia per l’assunzione di precise responsabilità di ordine politico.
Nasce così Il Dipartimento della Protezione Civile e si pongono le basi per l’istituzione del Servizio Nazionale, regolamentato dalla legge 225/92 che rappresenta ancora oggi il riferimento normativo del sistema di protezione civile del nostro Paese, parzialmente modificata dalla recente legge 100/12.
Altri eventi negli anni successivi, come quelli di Umbria e Marche nel 1997, del Molise nel 2002 e dell’aquilano nel 2009, hanno introdotto ulteriori miglioramenti normativi e organizzativi.
Nel 2003, con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3274, sono stati predisposti i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio.
Il provvedimento ha dettato i principi generali sulla base dei quali le Regioni, a cui lo Stato ha delegato l’adozione della classificazione sismica del territorio, hanno successivamente classificato il proprio territorio compilando l’elenco dei comuni con la relativa attribuzione ad una delle quattro zone, a pericolosità decrescente (zona 1, zona 2, zona 3, zona 4), nelle quali è stato riclassificato il territorio nazionale.
Ma la mitigazione del rischio sismico non si ottiene solo attraverso regole e norme.
La consapevolezza del livello di pericolosità del territorio in cui viviamo, la conoscenza delle caratteristiche costruttive degli edifici, un rapporto corretto con il territorio, sono condizioni indispensabili per l’efficacia di qualsiasi attività di prevenzione.
Un ruolo importante ha, quindi, il recupero della memoria storica dell’impatto complessivo che eventi gravi come il terremoto hanno avuto sulla storia, la cultura, l’economia, la società.
Questo l’obiettivo che guidava l’iniziativa alla quale per alcuni anni mi sono dedicato e questo uno degli aspetti rilevanti che caratterizzano questo volume.
Ogni pagina di questo volume contiene informazioni preziose e la ricca dotazione documentaria rappresenta un contributo importante per la ricostruzione accurata dei fatti, ormai collocati, dal tempo, in una prospettiva “storica”.
Tra i temi per i quali sino ad oggi le informazioni disponibili sul terremoto irpino del 1962 risultavano lacunose vi è certamente la ricostruzione del campo macrosismico dell’evento, cioè la distribuzione geografica delle intensità osservate, in particolare di quelle relative alle località con i risentimenti più bassi.
Rispetto agli studi macrosismici disponibili sull’evento (pochi per la verità), questo lavoro apporta un significativo miglioramento di conoscenze, in termini di qualità e quantità di informazioni per ciascuna delle località valutate, che nel nuovo piano quotato diventano 560: più del doppio rispetto a quelle contenute nei precedenti lavori, anche nella più recente revisione effettuata per la redazione del “Catalogo dei Forti Terremoti in Italia” (Boschi E., Guidoboni E., Ferrari G., Mariotti D., Valensise G.
and Gasperini P. (2000).
Catalogue of Strong Italian Earthquakes from 461 B.C. to 1997, Introductory texts and CD-ROM, Version 3 of the Catalogo dei forti terremoti in Italia, Annali di Geofisica, 43(4)).
Per chi, come me, è stato coinvolto in occasione dei terremoti recenti nell’esecuzione dei rilievi macrosismici è un’emozione particolare affrontare i contenuti del volume.
Si tratta di una sorta di viaggio nella memoria che consente, per la ricchezza delle informazioni, quasi ci trovassimo fisicamente in quei luoghi, di ripercorrere le vie e osservare gli edifici di quei centri storici del Sannio e dell’Irpinia che troppe volte nel corso della storia hanno dovuto subire ferite profonde a causa dei terremoti.
Molto interessante l’avere utilizzato, per l’attribuzione dell’intensità macrosismica alle località, la matrice proposta da Diego Molin per l’applicazione della scala MCS e utilizzata dalle squadre di rilievo del DPC in occasione dei terremoti attuali (Molin D., Bernardini F., Camassi R., Cracciolo C. H., Castelli V., Ercolani E., Postpischl L., 2008: Materiali per un catalogo dei terremoti italiani: revisione della sismicità minore del territorio nazionale. Quaderni di Geofisica, 57, con CD-Rom).
Due gli elementi di conoscenza caratterizzanti la scala MCS: il livello di danno e la quantità percentuale delle abitazioni coinvolte rispetto al totale degli edifici.
La lettura delle informazioni disponibili filtrata attraverso tale matrice ha dunque consentito di ricostruire il campo macrosismico del terremoto e la distribuzione delle intensità in modo confrontabile con le modalità di applicazione della scala MCS oggi adottate.
La ricerca presentata in questo studio monografico è il risultato di un minuzioso e lungo lavoro di analisi di documentazione tecnico- amministrativa in gran parte inedita e mai consultata, conservata presso archivi e biblioteche.
Si tratta di un patrimonio di conoscenze importante non solo sotto il profilo puramente documentale, ma anche da un punto di vista culturale, storico, tecnico ed amministrativo.
Da molti dei materiali conservati possono, infatti, scaturire iniziative di studio e pubblicazioni di grandissimo interesse per le comunità locali coinvolte, capaci di attrarre anche finanziamenti, sia pubblici che privati.
Tra gli archivi, un ruolo fondamentale ha avuto l’archivio storico del Dipartimento della protezione civile, che, grazie alla passione e competenza degli Autori, è stato certamente valorizzato dalla ricerca.
L’Archivio storico del Dipartimento della protezione civile conserva una serie considerevole di materiali relativi agli eventi calamitosi accaduti nel nostro paese nel corso del XX secolo, in particolare agli eventi sismici ed ai relativi interventi di soccorso ed assistenza alle popolazioni ed alla ricostruzione dei territori colpiti, in gran parte provenienti dall’archivio della Direzione Generale dei Servizi Speciali del Ministero dei Lavori Pubblici.
Tale Direzione Generale, istituita negli anni ’20 del secolo scorso, operò per moltissimo tempo, sino alla metà degli anni ‘70 e le attività svolte non riguardarono solo opere dipendenti da terremoti, ma il consolidamento e il trasferimento di abitati minacciati da frane o colpiti da nubifragi, eruzioni vulcaniche ed altre calamità.
Le sue competenze furono poi assorbite dal Ministero dell'Interno (Direzione Generale Servizi Antincendio e Protezione Civile) e quindi dall'attuale Dipartimento della Protezione Civile.
In particolare la documentazione che è risultata utile per la stesura delle mappe di danno e per attribuire l’intensità di sito riguarda prima di tutto le schede di rilievo del danno, compilate per valutare l’agibilità degli edifici e consentire quindi la messa in campo delle azioni istituzionali di programmazione della ricostruzione.
A supporto e integrazione delle informazioni desunte da questi documenti sono stati poi esaminati i piani di zona e di ricostruzione Una parte particolarmente interessante dello studio riguarda la redazione di cartografie tematiche del danno a scala urbana, nelle quali è stato possibile agli autori distinguere i diversi livelli e la diversa distribuzione del danno nei centri storici colpiti, evidenziando in alcuni casi il ruolo giocato dalle caratteristiche del suolo e più in generale dalla pericolosità sismica locale.
A supporto delle valutazioni degli effetti locali, evidenziate da anomalie di intensità in alcune località delle province di Campobasso, Salerno e Napoli, è stato necessario ricostruire le condizioni edilizie e geologiche dei centri urbani prima del sisma.
Ciò è stato possibile con l’ausilio della documentazione tecnica inedita conservata presso l’Archivio storico del Dipartimento della Protezione Civile e relativa agli studi e rilievi eseguiti per i piani di consolidamento o trasferimento dei centri abitati oggetto della legge 445/1908, di cui la Direzione Generale dei Servizi Speciali gestiva i procedimenti tecnico amministrativi.
In tale documentazione sono definite le instabilità e dissesti presenti sul territorio, consentendo di valutare eventuali correlazioni tra dissesti geomorfologici e distribuzione spaziale del danno a seguito del terremoto del 1962.
Lo sviluppo di analisi di questo tipo risulta particolarmente interesssante per la possibilità di confrontare scenari di danno reali con le caratteristiche di pericolosità locale del territorio, oggetto degli studi di microzonazione sismica.
La microzonazione sismica ha avuto un forte impulso negli ultimi anni, anche a seguito dell’avvio del Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico (art. 11 della legge 77/09) che, a partire dal 2010 e per sette annualità, ha destinato fondi alle Regioni per la redazione di studi di microzonazione sismica dei comuni con pericolosità di base ag non inferiore a 0.125g.
Gli studi, realizzati secondo gli “Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica” (Gruppo di lavoro MS; 2008. Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica, Dipartimento della Protezione Civile e Conferenza delle Regioni e Province Autonome, 3 vol. e DVD), approvati dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome, individuano le zone stabili, le zone instabili e le zone potenzialmente suscettibili di amplificazione sismica presenti sul territorio.
È evidente che la conoscenza degli scenari reali di danno rappresenterebbe una informazione di estremo interesse per valutare la causalità degli effetti osservati, migliorare la conoscenza delle caratteristiche di risposta sismica locale e indirizzare verso un corretto uso del territorio.
Per concludere, non v’è dubbio che la riduzione del rischio sismico passi attraverso la riduzione della vulnerabilità del patrimonio abitativo e, più in generale, dei sistemi antropizzati.
Ciò presuppone che i tecnici operanti nel settore, siano essi nella Pubblica Amministrazione che liberi professionisti, provvedano ad aggiornarsi adeguatamente sull’evoluzione delle normative, delle tecnologie e, più in generale, degli strumenti di pianificazione del territorio con la piena consapevolezza dei livelli di rischio che su questo incidono. Ma non solo. È, in definitiva, la percezione del rischio da parte dei cittadini, sia a livello di singoli individui che in relazione alla loro funzione sociale , a costituire un fattore determinante per creare il consenso ad una politica mirata alla riduzione del rischio.
La crescita della consapevolezza non può che essere raggiunta attraverso una incisiva azione di divulgazione e informazione.
E questo volume ne rappresenta un prezioso esempio.
Sergio Castenetto
Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Protezione Civile Ufficio Rischio sismico e vulcanico